Il giudizio della Corte Costituzionale ha il seguente significato: la legge è costituzionale, ma, anche, non lo è, siccome quel che ha scritto il legislatore non ci piace, noi giudici la cambiamo, come se fossimo legislatori. Il giudizio di costituzionalità, che riguarda una legge e non un caso specifico, dovrebbe essere rigoroso, silente, decisivo. Invece è capitato di leggere sentenze politicizzate, redatte fra clamori e fughe di notizie, niente affatto conclusive. Come è il caso delle sentenze “manipolative”, o, se si è di palato fine, “interpretative”. Vale a dire: né un “sì”, né un “no”, ma un “se”, “forse”, “eventualmente” e “nel caso”. Quest’ultima, relativa al legittimo impedimento, appartiene a questa non nobile categoria. Pericolosa, alla lunga.
Il giudizio di costituzionalità è delicato, andrebbe maneggiato con cura, perché una Corte di nominati può cancellare leggi volute da un parlamento di eletti. Non a caso Palmiro Togliatti, che rivendicava il primato della politica e la sovranità del Parlamento, animato dai partiti, era contrario all’istituzione della Corte Cstituzionale. I Costituenti la vollero, invece, perché avevano in mente due questioni: la prima, più rilevante, relativa alle numerose leggi pre costituzionali che fossero anche incostituzionali; la seconda relativa all’obbligo, per il legislatore, nel caso voglia modificare la Costituzione, di seguire la procedura prevista dall’articolo 138, consentendo alla Corte di decapitare norme che violino la Carta senza modificarla. Nel primo caso la Corte avrebbe avuto un ruolo evolutivo, nel secondo conservativo. Le sentenze manipolative hanno introdotto un terzo ruolo, assai improprio, quello legislativo, vale a dire politico.
Guardiamo al caso che ora la Corte esamina. Stabilire se sia costituzionalmente legittima una norma che prevede una specifica disciplina relativa al legittimo impedimento del presidente del Consiglio, spetta alla Corte. Non c’è dubbio. Chiunque di noi, qualora si trovi ad essere processato, avendo il diritto d’essere presente alle udienze, può far presente un impedimento (malattia grave e ricovero, ad esempio) e, quindi, chiedere un rinvio. La legge in esame stabilisce che se l’impedimento di chi governa è relativo agli affari di governo, è da considerarsi automaticamente valido (perché nell’interesse collettivo), quindi il processo deve essere aggiornato. La procura di Milano ha eccepito l’incostituzionalità. Se la Corte avesse risposto “sì” o “no” ciascuno ne avrebbe tratto le conclusioni che crede e avrebbe letto le motivazioni, per comprenderne le ragioni (ho letto, ad esempio, le motivazioni della sentenza che ha cancellato la legge “Pecorella”, ove si stabiliva la non riprocessabilità degli assolti, e vi ho trovato conferma che la Corte ha sbagliato, non di meno la sentenza è chiara e valida). Se la Corte fosse giunta alla conclusione che la legge è costituzionale, ma a stabilire cosa sia un’attività di governo non può essere il presidente processando, bensì il Consiglio dei ministri, avrebbe utilizzato un’interpretazione che conferma il senso della legge, solo specificandone la procedura. Ma sostenendo che la legge è costituzionale, però tocca al tribunale stabilire se l’impedimento è realmente legittimo, è entrata nel regno delle prese in giro. Peggio, delle sentenze scritte in politichese.
Il tutto, non lo si dimentichi, a cura di una Corte che calpesta la Costituzione ogni volta che elegge il proprio presidente, avendo scelto di fare marameo alla Carta pur di consentire a ciascun proprio membro di vestire i panni del numero uno. Sebbene per qualche settimana. Una situazione vergognosa, il cui scandalo dovrebbe far ululare al cielo le cattedre di diritto, gli uomini liberi, i cittadini seri e il Presidente della Repubblica. Invece tutti zitti e rimpiattati, tutti convinti che la serietà e il rigore non abitino lo stivale, tutti impegnati a usare il bilancino politico, per non rompere equilibri che sembrano sofisticati, e sono invece mistificanti.
Letta la sentenza, com’è costume consolidato, tutti parleranno di Silvio Berlusconi: per taluni avrà vinto, per altri si sarà imposto, avrà perso o avrà solo rinviato la partita, sarà stato causa dei suoi mali o artefice di una resistenza ad oltranza. La tipica altalena dove il bipolarismo senza idee ha posato le terga e annebbiato il cervello. Mi limito ad osservare che la distruzione delle garanzie costituzionali non può mai essere a vantaggio di uno o a svantaggio dell’altro, ma sempre a nocumento della Repubblica.