Giustizia

Messaggi e omissioni

Messaggi e omissioni

Si comincia a divinare quali saranno i temi degli auguri presidenziali, l’ultimo giorno dell’anno. Gara inutile, quante altre mai. Gira e rigira son sempre le stesse cose: unità nazionale, coesione sociale, attenzione agli ultimi. Nelle parole pronunciate dal Quirinale ciascuno cercherà le sfumature che più gli aggradano, lanciandole alla schiena degli avversari. Poi saltano i tappi, vanno in onda i servizi sui festeggiamenti in giro per il mondo, con una monotonia che sbeffeggia le attese di novità. Più che le parole che si diranno, a me interessano quelle che non si sono dette. Ci sono due cose, infatti, con le quali il vecchio anno si chiude e il nuovo si apre, due voragini istituzionali, alle quali il Presidente della Repubblica non sembra dedicare particolare attenzione. Forse mi sbaglio, e lo spero. Può darsi che il silenzio ufficiale sia la copertura del gran lavorio istituzionale. Da fuori, però, non sembra.
Il preoccupante smottamento è avvenuto nella oramai fangosa terra della giustizia. Due questioni ne segnalano il pericolo estremo: la condanna del generale comandate del Ros dei carabinieri, Giampaolo Ganzer, e l’imminente udienza della Corte Costituzionale. In entrambe i casi, il silenzio del Quirinale non si giustifica.
Nel luglio scorso, quando Ganzer fu condannato a 14 anni di carcere, in primo grado, quale trafficante di droga, fummo gli unici a scrivere che si sarebbe dovuto dimettere. La sua presunzione d’innocenza è intonsa, il nostro garantismo fermo, la mostruosità della sentenza, accompagnata al fatto che anche i vertici passati del Ros sono sotto processo, fin troppo evidente, ma come può dirigere un organismo di polizia giudiziaria, quindi collaborare con la magistratura, chi è stato condannato dalla magistratura stessa? E’ vero che la condanna non è definitiva, ma l’accusa è devastante, per il tipo di posto che Ganzer occupa. Lo scrivemmo noi, sottolineando che credevamo nell’innocenza, perché l’opposto sarebbe inaccettabile e distruttivo, mentre gli altri tacquero, paghi del raccontare un’ulteriore stortura: l’Arma gli confermò la fiducia. Come a dire che l’Arma la toglieva ai giudici. Capita, ora, che siano state pubblicate le motivazioni di quella sentenza e che il Corriere della Sera abbia ritenuto, in ragione di quel che c’è scritto, di suggerire l’opportunità delle dimissioni. Ed è qui che il Quirinale fa sentire la propria assenza, non certo nel merito del procedimento penale, dal quale deve tenersi totalmente estraneo. La mostruosità, difatti, è duplice: relativa sia alla permanenza di Ganzer che alla prosa delle motivazioni.
Giorgio Napolitano ha un ruolo di guida suprema, anche per le forze armate, di cui i carabinieri fanno parte. Non  ha sentito il bisogno di avvertire il disagio derivante dall’idea che il capo dei Ros sia un ipotetico trafficante di droga, già condannato da un tribunale? O che un tribunale lo abbia condannato? Non c’è nulla di normale, in ciò. Non s’è accorto che i vertici dei Ros finiscono regolarmente sotto processo, sempre per reati gravissimi? Ne ha tratto una qualche impressione, relativa ai Ros, alla giustizia o a quel che crede? In ogni caso, non può limitarsi a fare l’osservatore. Nell’ordine dei lavori parlamentari non dovrebbe metter becco, ma negli equilibri costituzionali sì.
Inoltre, le motivazioni delle sentenze sono divenute un turpe genere letterario. Dovrebbero servire a spiegare perché è stata emessa una condanna o riconosciuta un’innocenza, invece sono trattati psicosociologici, infarciti di frasi fatte d’origine penale e considerazioni degne del più bieco luogocomunismo, il tutto in stile pulp. Quale presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, non ritiene di dovere intervenire? Anche per evitare ai commentatori del Corriere così detestabili abbagli, per cui va bene la condanna, ma ci si scandalizza per la motivazione.
La seconda questione riguarda la Corte Costituzionale. Anche in questo caso Napolitano non deve intervenire nel merito, ci mancherebbe, ma si sarà accorto che i giornali pubblicano anticipazioni della relazione e annunci di lettere di singoli giudici ai colleghi. Un andazzo per niente consono alla dignità istituzionale della funzione. E si sarà accorto che è invalsa la pessima e miserabile abitudine di eleggere presidenti che restano in carica qualche settimana, calpestando lo spirito e la lettera della Costituzione. Tocca a lui, al Presidente della Repubblica, intervenire, altrimenti dovrà essere il legislatore a modificare la Costituzione, per difenderla da chi dovrebbe custodirla.
Una parola, nel merito del legittimo impedimento, la aggiungo io. Credo che si vada ad una sentenza manipolativa, l’ho scritto. Ma c’è modo e modo. Una cosa è stabilire che la legittimità dell’impedimento debba essere annunciata dalla collegialità del Consiglio dei Ministri, altra che può stabilirlo, di volta in volta, il giudice di merito. La seconda cosa non è manipolativa, è una presa in giro, perché la ratio della norma (mal pensata e mal scritta) consiste proprio nel fatto che non può essere un giudice a stabilire se le cose del governo sono più o meno importanti dell’udienza. Abroghino, respingano o interpretino, ma il giochino del piccolo legislatore, a cura di signori garantiti e privi di mandato popolare, per giunta collettivamente profittatori e dimentichi (quando si tratta dei loro interessi) del Dettato costituzionale, porta male. Molto male.
Non saranno i temi degli auguri, ma mi auguro che siano quelli sui quali il Presidente Napolitano sappia meditare.

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