Giustizia

Miseria forense

Miseria forense

Ma si può rimpiangere Pier Luigi Bersani? I senatori del centro destra ci sono riusciti, varando una controriforma dell’ordinamento forense e facendo fare al segretario del Partito Democratico, un tempo ministro dello sviluppo economico, la parte del gigante liberale. Complimenti vivissimi, non era facile.

Quando partirono le “lenzuolate”, le diverse piccole liberalizzazioni, ne scrissi bene, ma ne criticai la timidezza e qualche cedimento cooperativo. Alla faccia! Ora sembrano un uragano liberista. I senatori di centro destra hanno sbagliato tutto, per tre ragioni: a. hanno, ancora una volta, ragionato come se la giustizia sia un affare di chi ci lavora, e non dei cittadini nel cui nome è amministrata; b. hanno scambiato il vociare dei sacerdoti corporativi con gli interessi degli avvocati; c. hanno sperato di cedere al protezionismo di gruppo per guadagnare terreno in favore di qualche riforma, come l’introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione, che, invece, così affossano. E vediamo il perché.

E’ stato reintrodotto l’obbligo delle tariffe minime. In questo modo, argomentano le organizzazioni degli avvocati, si evita la concorrenza sleale e lo sfruttamento dei giovani, dando dignità alla professione. Bubbole: i giovani, siano essi praticanti o giovani avvocati, sono e continueranno ad essere sfruttati negli studi più affermati, con l’aggravante che non possono far concorrenza. Nel mondo delle professioni ci si afferma grazie alla fama ed ai risultati, siccome i giovani non possono avere nulla di questo, potrebbero far concorrenza sul prezzo. Tornando ad essere proibito, si rassegnino a stare in coda e portar la borsa. Le tariffe minime, inoltre, sono una pacchia per gli studi legali che hanno clienti seriali (come banche o assicurazioni) cui forniscono prestazioni sostanzialmente burocratiche.

Torna anche il divieto di quantificare il compenso in ragione del risultato. Non so quanto il legislatore lo abbia capito, ma questo alimenta la conflittualità, visto che all’avvocato non interessa se la causa può essere vinta, ma solo che sia impiantata. E non so quanto se ne rendano conto gli avvocati, ma questo li mette su un piano diverso da quello di tutti i professionisti che lavorano in giro per il mondo, già da molti anni pagati a “success fee”. Non su un piano più alto, semplicemente fuori dal mondo (aumentando lo svantaggio competitivo delle nostre imprese). Ed è un grave danno per i cittadini, perché si stabilisce che un avvocato debba obbligatoriamente farsi pagare anche per un ricorso contro l’ingiustizia, scucendo soldi da tasche stremate e da persone esauste, laddove, al contrario, dovrebbe poter lavorare con passione, puntando al reddito quale misura del risarcimento guadagnato allo sfortunato cliente.

La corporazione togata riconosce e denuncia che gli avvocati sono troppi: da ora in poi chi non produce continuativamente reddito sarà espulso. Ma chi lo ha detto che gli avvocati sono troppi? Sono tanti, anzi tantissimi, e si dovrebbe farlo sapere a quanti intendono iniziare gli studi per puntare a quella professione, ma il concetto di “troppi” è adeguato ai funzionari pagati con la spesa pubblica, mica ai professionisti pagati dal mercato. In realtà la selezione reddituale funzionerà per stroncare la concorrenza dei più deboli nei confronti dei più forti. Inoltre: se si cancella qualcuno gli si restituiscano i soldi (con interessi) pagati alla cassa forense, altrimenti c’è arricchimento ingiusto di chi rimane.

Con la riforma, dicono orgogliosi, s’introducono le specializzazioni e il controllo dell’ordine sulla qualità degli avvocati. Ridicolo: la specializzazione e la qualità sono valutate dal mercato, dai clienti, mica da avvocati che trovano il tempo per non fare l’avvocato. Il meccanismo a “punteggi” serve solo a far platea nei convegni: tu avvocato vieni, ti sciroppi una giornata di relazioni più o meno assennate, e l’ordine ti riconosce un credito, a valere sulla tua qualificazione professionale. Che è come dire che se uno va allo stadio tutte le domeniche merita la qualifica di calciatore.

Chi vara controriforme di questo tipo, chi si vanta di avere fatto tali conquiste, chi tace davanti allo scempio, è ovvio che non possa andare da un lavoratore di Pomigliano e dirgli che deve rinunciare a delle garanzie per potere consentire ai giovani di accedere al mercato del lavoro. Non ha le carte in regola e, in ogni caso, gli mancherà il coraggio. Giustamente. Una classe forense orgogliosa di sé avrebbe dovuto chiedere il contrario: più digitalizzazione, meno file in cancelleria, più competizione grazie a processi più rapidi e a magistrati più qualificati. Speriamo la Camera dei Deputati ponga rimedio.

Quando ci si chiede perché l’Italia continua a perdere competitività, la risposta consiste in simili miserie. E se ci si chiede come mai i giovani non contano nulla, in Italia, la risposta è: non sanno ribellarsi a questa roba, accettano l’egualitarismo al ribasso e fuggendo la meritocrazia al rialzo.

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