17 maggio 1972, poco fuori la sua abitazione venne ucciso, a Milano, il commissario Calabresi. Autunno 1999, si riapre il processo ad Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Bruno Pietrostefani, accusati da un loro compagno di allora di avere organizzato ed eseguito quell’omicidio. Sono passati ventisette anni e questa storia non è ancora finita. Sarebbe bene, invece, farla finita.
L’Italia è un paese che ama guardare alle cose della giustizia formando subito gli schieramenti degli innocentisti e dei colpevolisti. Si deve rifiutare questo modo di fare e di pensare, anche perché va avversata l’idea che debba essere l’opinione pubblica, guidata da chi la informa, a processare gli imputati. Sul caso specifico, quindi, mi limito ad osservare che almeno due dei condannati (Sofri e Pietrostefani) avevano ampia possibilità di fuggire all’estero (Pietrostefani rientrò apposta per farsi arrestare), cosa che, a fronte di una condanna così pesante, sarebbe stata ragionevole. Non lo hanno fatto, si sono consegnati alla giustizia, e continuano a dirsi innocenti.
Se lo siano davvero non lo so. Quel che so è che non lo saprò mai. O, meglio, lo saprò, in questo caso come in tanti altri di mala giustizia italiana, solo se un giorno un dei coinvolti (possibilmente credibile) deciderà di scrivere le proprie memorie e ci dirà come sono andate le cose, o se le memorie le scriverà chi non è mai stato coinvolto e ci chiarirà che Calabresi lo ha ammazzato lui. Ma la verità processuale, quella che un Tribunale può accertare, è oramai persa in una vicenda che si trascina da ventisette anni e che non ha alcuna speranza di approdare ad un verdetto che renda tranquilli.
Un processo che inizia ventisette anni dopo è già un processo in cui la giustizia è condannata a perdere. Celebrarlo è un rito inutile ed ipocrita, un omaggio postumo all’obbligatorietà dell’azione penale, una perdita di tempo che è già destinata a far perdere altro tempo, il tutto per ritrovarsi, alla fine, con in carcere le stesse persone che continuano a dirsi innocenti, e cui la Cassazione ha, da ultimo, dato ragione; oppure nessuno, perché innocenti loro non si sa neanche a chi attribuire la morte di Calabresi.
Calabresi è morto. Il processo per il suo omicidio pure. Quello che si aggira per le aule di giustizia è uno zombie. Seppellirlo è l’unica cosa degna che si possa fare.