Giustizia

Notai da cancellare

Notai da cancellare

Basta bandire un concorso pubblico che subito si mette in moto una delle grandi macchine produttive italiane: la fabbrica della raccomandazione. Eppure i concorsi senza trucco e senza inganno non solo sono possibili, ma è anche facile organizzarli. Alcune di queste esercitazioni collettive, come l’esame per l’ammissione all’albo dei notai, su cui è fiorito l’ultimo intrallazzo, meriterebbero una soluzione ancor più radicale: vanno cancellate. Non servono, non garantiscono alcun beneficio al Paese, sono utili solo a chi li passa, per accedere ad una rendita di posizione.

Si sta svolgendo un concorso a Napoli (è ho detto tutto), per posti da assegnarsi nell’amministrazione comunale (e ho aggiunto più di tutto). La gestione è stata affidata a Formez Italia, con lo scopo di sbarrare la strada a spintarelle e imposizioni. Le domande sono scelte dal computer, davanti a tutti, fra le tante già pubblicate nel sito internet, ove i candidati diligenti hanno potuto esercitarsi. Il computer corregge i compiti e assegna i voti. Funziona. Al punto che l’assessore responsabile dell’operazione s’è dimesso. Volendo, quindi, le cose possono essere fatte bene.

Nel caso dei notai, invece, non lo si è voluto. Il fatto è che scema anche la qualità degli imbrogli e la stoffa degli imbroglioni, sicché la grande sala degli esami è stata teatro di sommossa. Non c’è male, visto che ai notai sarebbe delegata la certificazione della regolarità e della veridicità degli atti. Qui, però, c’è poco da moralizzare e molto da cancellare.

La figura del notaio è sconosciuta in quasi tutti i sistemi evoluti. Per atti costitutivi e compravendite complicate i singoli e le società (più spesso) possono, ovunque nel mondo, farsi assistere e certificare da figure altamente professionalizzate, solitamente legali con specializzazione commerciale. Per rendere certa la data di un atto e la sua versione unica è sufficiente il deposito, presso il pubblico ufficiale delegato. Da noi è diverso: il gran numero dei clienti che siedono nelle anticamere dei notai, e che pagano parcelle ragguardevoli, non metterebbero mai piede in quegli studi, se la legge non li obbligasse. Il numero dei notai italiani non è funzione del bisogno dei cittadini, ma delle complicazioni burocratiche che lo Stato impone loro. La professione, inoltre, risponde alle regole del mercato solo ai livelli più alti, per il resto s’adagia sulla rendita delle tariffe stabilite d’autorità, fuori da ogni contrattazione. Il cittadino non è il cliente, ma l’agnello condotto alla tosatura.

L’imbroglio romano, quindi, torna utile per ricordare che possiamo vivere tranquillamente anche senza l’albo dei notai. Scorrendo il quale, del resto, si trova una sospetta vocazione ereditaria, un passaggio dei sigilli da padre in figlio, laddove, spesso, la vera competenza è portata da collaboratori e segretarie che hanno studiato, ma sono nati figli delle persone sbagliate. Il notaio, in fondo, è l’ennesimo certificatore di una società priva di mobilità e asfissiata dal corporativismo. L’imbroglio era già evidente, ora anche comprovato. Si chiuda la baracca.

Il mondo viaggia veloce, negli anni della crisi c’è chi cresce a ritmi sostenuti, noi bariamo nell’abilitare i professionisti della ceralacca, i virtuosi del bollo, i fantasisti della registrazione. Faremmo meglio, con onestà, ad avvertire i giovani che questa è una professione del passato e l’albo una protezione anacronistica, in modo che i migliori investano altrove le loro capacità e i mediocri, che sono tanti, trovino di meglio da fare, per guadagnarsi la pagnotta.

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