Giustizia

Nuova prudenza alla procura di Torino

Nuova prudenza alla procura di Torino

Secondo la procura di Torino, circa il miliardo e più di soldi che Gianni Agnelli sembrerebbe avere accumulato all’estero, “non si è a conoscenza di ipotesi o elementi di reato”. Il che segna un grande salto, di cultura e prassi, per un ambiente giudiziario fortemente influenzato da uomini e caratteri forti, come

quello di Marcello Maddalena, autore di un non dimenticato libro, “Meno grazia più giustizia”, nel quale si tessevano le commosse lodi della galera preventiva, intesa come sistema per sollecitare le confessioni, si descriveva il pubblico ministero come “unico portatore dell’interesse dello stato (…) a vedere scoperti e puniti gli autori dei reati”, e si guarda con tenerezza ai processi in piazza, fatti dalla “gente”, convinta che l’accusato sia effettivamente colpevole, o come quello di Raffaele Guariniello, che si è eletto a vigile guardiano nazionale della sofisticazione e della frode sportiva. Sicché vederli oggi, attestati a difesa della necessità che ci si vada con i piedi di piombo, prima di mettere nei guai un cittadino, chiunque egli sia (spero), desta un certo compiacimento. Ben arrivati.
Gliecché, però, un dubbio ci assale. L’ipotesi che qualcuno stesse facendo sparire una somma gigantesca non è stata formulata da un pubblico ministero, o da un agente del fisco, o da un vicino invidioso, bensì da un legittimo erede, l’unico figlio vivente di colui che ebbe quelle somme nella propria disponibilità. E, stando a quanto abbiamo letto in questi mesi, i curatori fiduciari di quell’esecuzione testamentaria hanno sempre risposto non che la supposizione sia folle, bensì di avere agito secondo le istruzioni ricevute. Ora, pur considerato che si tratta di gente ricca, che, pertanto, l’entità delle cifre deve essere parametrata alla consuetudine nel maneggiare somme considerevoli, resta il fatto che più di un miliardo di euro non si accumula grazie a qualche prestazione professionale non fiscalizzata, o in virtù di qualche generosa liberalità. E visto che il soggetto accumulante aveva cariche di vertice in una società quotata, il minimo della fantasia accusatoria suggerisce diversi reati, relativi alla trasparenza del bilancio ed alla regolarità dei rapporti con il mercato. Maneggiando quel tir di denaro, inoltre, si fa fatica a parcheggiarlo senza dare nell’occhio, spendendo il necessario per qualche umano vizio ed accumulando il resto per i posteri (ma non per gli eredi, la qual cosa, già di suo, sollecita qualche sospetto).
Diciamo che, in altre circostanze, con altri soggetti e con altri poteri la procura avrebbe fatto sapere all’universo mondo di avere, nel più sereno e pacifico dei casi, “acceso un faro”. Più probabilmente avrebbe chiesto lumi, già abbagliata dall’evidenza che i conti non tornano.
Naturalmente può ben darsi che sia tutto a posto e che l’amministrazione aziendale non abbia alcunché da rimproverarsi. Ne saremmo felici. Però, in questo caso, si dovrebbe presentare il conto all’erede esoso ed azzardoso, che con le affermazioni fatte ha lasciato intendere che potevano essere state sottratte ingenti ricchezze ad una società quotata in Borsa e utilizzati per fini d’arricchimento illecito gli aiuti di Stato (quindi con i soldi dei cittadini) forniti ad una nota impresa.
A ben vedere, pertanto, qualche “ipotesi” e qualche “elemento” su cui ragionare non mancano. Magari manca l’entusiasmo popolare che tanto giovò all’umore di certi procuratori, ma troveranno ugualmente la forza, ed il senso del dovere, per pensarci. Buon Ferragosto.

Condividi questo articolo