Giustizia

Palavobis e girotondi

Palavobis e girotondi

Dentro e fuori il Palavobis di Milano vi era più gente di quanta non ne fosse scesa in piazza, ad applaudire le gesta giustizialiste, fra il ’93 ed il ’94, vale a dire negli anni caldi delle inchieste che hanno smontato la politica italiana.

Se la politica si misurasse con l’afflusso di pubblico alle manifestazioni, quello di sabato scorso sarebbe un successone. Ma si rischia di non comprendere la natura di quest’evento se non si coglie il principale elemento di continuità, conservatosi ed accresciutosi, in questi dieci anni: l’antipolitica.

Coloro che scesero in piazza dieci anni fa, e fra i quali si trovavano i militanti leghisti non meno di quelli missini (sentito quel che dice Fini? noi possiamo dire di non condividerlo, e non lo condividiamo, ma loro?), così come la gran parte (a giudicare dagli applausi) di quanti si sono riuniti a Milano, avevano in odio la politica, e la classe politica in generale. Tale antipoliticismo di dieci anni fa, che a me pare un sentimento negativo e terrificante, è stato rivendicato dal neoideologo manettaro, Flores d’Arcais. Che tale sentimento si sia conservato lo dimostra il fatto che al Palavobis l’odiato Berlusconi ha dovuto dividere i sentimenti d’avversità con i leaders della sinistra. Per i girotondini, insomma, è la politica stessa ad essere cosa detestabile, ed i girotondini d’oggi fanno fatica a rendersi conto che, non a caso, il ceppo originario delle loro evoluzioni affondava le radici nel razzismo e nell’autoritarismo.

I discorsi dal palco, poi, sono davvero imbarazzanti. Servono a dimostrare a quale degrado può portare l’ubriacatura da folla plaudente. Passi per i Veltri e per i comici, ma come fanno, gli altri, a non rendersi conto che la sinistra cui danno voce è chiusa e sconfitta, irrimediabilmente? Come fanno a non capire che scegliere Di Pietro al posto di Morando significa degradare se stessi in cambio di una manciata d’applausi trasformisti? Prendere Pardi e farne un leader significa aver seppellito la lezione degli Amendola, aver dimenticato Luciano Lama e, alla fine, esser passati con quanti gli impedirono di parlare all’Università di Roma.

Poveri figli dell’antipolitica, son convinti, i tapini, di avere riconquistato iniziativa politica avendo riconquistato uno spazio comunicativo e mediatico. Poveri disgraziati, culturalmente succubi di colui che hanno eletto a diabolico nemico, si attaccano al sondaggio, confondendo i fenomeni di profondità con quelli di superficie.

Certo, la grande platea milanese conteneva anche sentimenti di legittima indignazione, di opportuno desiderio di difendere lo stato di diritto e la superiorità delle leggi. Che tristezza vedere il buono che brucia sulla pira eretta per festeggiare l’esatto opposto.

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