Giustizia

Pena certa o diritto incerto

Pena certa o diritto incerto

In un paese che, come l’Italia, ha scarsamente diffuso la cultura del diritto ed il senso dello Stato, si finisce con il fare una gran confusione fra pietismo e garanzie. Noi siamo garantisti, totalmente garantisti, nel senso che crediamo alle regole ed al loro rispetto. Non rispettarle è grave, ed è particolarmente grave che a farlo sia stata, talora, quella stessa magistratura che dovrebbe presiedere alla loro applicazione.

La stagione del giustizialismo italiano, gli anni della devastazione del diritto e della violazione dei diritti, hanno indotto i meno dotati di comprendonio ad identificare il garantismo con l’innocentismo e con il pietismo. Visto -essi sragionavano- che le garanzie vengono invocate contro l’opera dei magistrati è evidente che tali garanzie devono essere una cosa che va a favore dei colpevoli. Chiamavano “cavilli” le regole. Ed i cavilli, si sa, servono a difendere l’indifendibile.

Siamo stati garantisti controcorrente, quasi solitari nell’Italia in cui soffiava il vento sporco ed appiccicoso di una giustizia utilizzata come arma di vendetta sociale e politica. Non ci siamo sbagliati, vediamo, adesso, non pochi fare inversione di marcia, assistiamo a pentimenti tanto insinceri quanto cieche furono ieri le vocazioni. Pazienza, è questa l’Italia che ci tocca.

A noi, che siamo stati garantisti contro gli abusi della carcerazione preventiva, tocca ora ricordare un’altra delle garanzie fondamentali: la certezza della pena. E’ un po’ strano doverlo fare nel paese di Cesare Beccaria, ma tant’è.

Non esiste rispetto della giustizia se questa non è in grado di punire, in maniera equa ed umana, i colpevoli. Se il reo non si attende di essere punito non farà che continuare a commettere reati. Se non c’è certezza della pena, c’è la certezza che le leggi non saranno rispettate. Capita, purtroppo, che nell’Italia in cui si fa un uso incivile della carcerazione preventiva (nei confronti di cittadini che hanno il diritto di essere considerati innocenti), non si riesca, poi, ad assicurare alla detenzione coloro i quali sono stati già giudicati colpevoli. Una contraddizione che, da sola, racconta la realtà di un paese.

L’estate scorsa le cronache sono state messe a rumore da alcuni casi di condannati agli arresti domiciliari che si sono resi protagonisti di ulteriori reati, anche gravissimi. Da questi episodi si è fatta discendere una polemica circa l’uso delle pene alternative. Noi vediamo le cose in modo diverso.

La legge Gozzini, che prevede una serie di norme destinate a favorire il reinserimento dei detenuti nella società civile, è una buona legge. Le pene alternative, come gli arresti domiciliari, l’obbligo di residenza, l’affidamento ai servizi sociali, sono delle buone cose. E’ sbagliato pensare di fare dei passi indietro e rinunciare a questi istituti. Il fatto è che, però, queste pene alternative devono essere concesse a chi le merita, e chi ad esse viene assegnato deve poi essere controllato. Se, invece, queste misure vengono utilizzate solo e soltanto per fare fronte al superaffollamento delle carceri, si otterrà il risultato che si ha sotto gli occhi: il detenuto che commette reati in libertà.

Ma, se questo accade, di chi è la responsabilità? La responsabilità è del legislatore che non affronta il problema della pena e degli istituti di pena, ma stabilisce meccanismi di mero sfollamento, ma è anche dei magistrati di sorveglianza, che fanno male il loro mestiere, e delle forze dell’ordine che devono vigilare su questi soggetti.

Sento già il ritornello: ma le forze sono inadeguate al compito. Ma va là, si conosce il caso di un arcinoto pentito di mafia, protetto a vista, pagato per la sua collaborazione, che, già autore di decine e decine di omicidi, era tornato alla sua primitiva e feroce attività. Che, non c’erano un paio di poliziotti capaci di controllarne gli spostamenti?

Adesso si parla del braccialetto elettronico, capace di controllare a distanza colui che è stato sottoposto a misure alternative al carcere. Ci riesce difficile comprendere in cosa tale strumento violerebbe la libertà di persone la cui libertà è già limitata. E’ forse meglio il carcere?

Quel che dispiace è che il comportamento criminale di alcuni mette a rischio la speranza di molti di potere uscire dal carcere. Quel che dispiace è che la mollezza di uno Stato che non riesce a rendere certe le pene produce, per reazione, la faccia feroce di quanti marciano compatti contro i diritti ed il diritto. Incapaci di comprendere che certezza della pena e certezza del diritto e dei diritti sono due facce della stessa moneta, con la quale si paga la sicurezza dei cittadini.

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