Pensate, dal 1995 al 1997 sono state intentate 82 cause civili di risarcimento contro magistrati che avevano commesso ingiustizie. Poche, segno di una certa sfiducia dei cittadini verso la legge che regola la responsabilità dei magistrati. Sfiducia più che giustificata, dato che in nessuno caso i magistrati hanno dato torto a dei colleghi magistrati. Neanche in un solo caso.
Errare, dunque, è umano, ma i magistrati non rientrano nella categoria. Peccato, perché comportandosi in questo modo essi non avvalorano la cieca imparzialità della giustizia, ma, semmai, la sua vigile parzialità corporativa. Oltre tutto sono suscettibili, e così, esenti da condanne ed immuni dall’errore, chiedono che siano condannati quanti si permettono di criticarli, come capita, fra i tanti, anche a me. Mi rende sereno, nell’affrontare il giudizio, il fatto che il giudice, magistrato anch’egli, sicuramente non sbaglierà. Che bello.
A questo punto devo chiedere scusa, perché nelle poche righe già scritte ho commesso un’ingiustizia : ho parlato dei magistrati come di un insieme collettivo ed indistinto. Si tratta di un’ingiustizia perché ciascuno ha diritto di essere giudicato (anche fuori dai Tribunali) per quello che è, non per la categoria cui appartiene, o per il mestiere che fa. Valeva anche per Mastro Titta. Talora i magistrati dimenticano questa regola e mettono sotto inchiesta i sistemi od i fenomeni, insalsicciandoci dentro i singoli cittadini. Questo non autorizza a ripagarli con la stessa moneta.
Distinguere, però, sarebbe più facile se essi non si ostinassero, per motivi esclusivamente corporativi, a rimanersene intruppati sostenendo l’insostenibile. Con buna pace della signora Paciotti, e di tutti i suoi ammiratori, la tesi secondo la quale è un bene che tutti i magistrati, dagli accusatori ai giudici, se ne stiano in uno stesso pentolone carrieristico, è civilmente e culturalmente insostenibile. Volerla sostenere a tutti i costi, volervici arroccare in difesa di privilegi miseri, finisce con l’inquinare tutto.
A causa dell’enorme potere accumulato dai magistrati in questi anni, essi sono riusciti ad inquinare fortemente il dibattito politico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti : bizantinismi acrobatici per andare incontro alle loro pretese corporative salvaguardando almeno qualche pezzo del processo accusatorio; distinzione delle funzioni al posto di separazione delle carriere; proposte alchimistiche sulla composizione del CSM. Tutta roba che serve a coprire l’impossibilità di affermare l’unica cosa sensata : il processo accusatorio non potrà mai funzionare se non vi sarà parità fra le parti; e tale parità non vi sarà mai se una delle parti è “collega” di chi giudica.
In questo numero pubblichiamo un intervento del dott. Di Nunzio, Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Magistrati, e della sua partecipazione ancora lo ringraziamo. Ebbene, il dott. Di Nunzio, nel tentativo di difendere l’indifendibile, afferma che non si deve vedere alcun pericolo nel fatto che il pm ed il giudice siano colleghi, del resto, egli dice, cosa capita nel processo civile? Vediamo tante volte avvocati che difendono parti contrapposte scontrarsi con grande foga, e, poi, durante le pause, andare assieme a prendere un caffè. Ciò forse, si chiede il dott. Di Nunzio, nuoce alla professionalità od alla correttezza degli avvocati? No, di sicuro, egli ha ragione. Solo che l’esempio è sbagliato, direi freudianamente significativo.
Vede, dott. Di Nunzio, anche nel processo accusatorio, nel penale, se un avvocato va a prendere un caffè con il pm, ed i due discorrono cordialmente di calcio o di montagna, non mi preoccupo e non mi scandalizzo (aggiungo che, però, non mi piacciono gli avvocati pappa e ciccia, gli accompagnatori ossequiosi, i mediatori non conflittuali). Il guaio è se al bar, con uno dei due, ci trovo il giudice. E’ il giudice il soggetto che deve essere imparziale e non amicone, caro dott. De Nunzio, non gli avvocati, e nemmeno gli avvocati con gli accusatori, tutti costoro sono parziali, di parte, ma non il giudice. Il giudice non deve andare né al bar, né alla partita, né a caccia con le parti di un processo.
L’Associazione Nazionale Magistrati, invece, li vuol tenere tutti amorevolmente assieme ad una sola delle parti, all’accusa, e, volendolo, mostra scarsissima cultura del diritto, scarsissima coscienza civile, scarsissima considerazione di tutto ciò che non sia la difesa della corporazione. Altro che cultura della giurisdizione, con l’unità delle carriere si garantisce solo questo clima di impantanate inguacchio, che non la giustizia non ha niente a che vedere.
Noi dei giudici vogliamo avere maggior rispetto di quello che loro porta l’Associazione Nazionale Magistrati.