Giustizia

Pinto e Mazzella

Pinto e Mazzella

Ancora una volta abbiamo avuto ragione. Ancora una volta, parlando nel deserto della cultura e della politica, abbiamo visto il disastro che avrebbe provocato la legge Pinto, e lo abbiamo detto. Ora giunge l’Avvocato generale dello Stato, Luigi Mazzella, in stato confusionario, a darci ragione ed a voler peggiorare la situazione.

La legge Pinto, approvata in un clima di smobilitazione e fuga, in un Parlamento in cui né la maggioranza (centro sinistra) né la minoranza (centro destra) seppero mostrare alcuna capacità e cultura di governo, è un inutile pannicello caldo concepito al fine di evitare che l’Italia sia pesantemente censurata in sede di Consiglio d’Europa. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, difatti, continuava a getto continuo a condannare il nostro paese per una giustizia, in particolare penale, che non funziona e che sistematicamente viola i diritti dei cittadini. Non sapendo far fronte alle condanne il Parlamento approvò una legge, la Pinto (numero 89 del 2001), la quale stabiliva che ad essere competenti per i risarcimenti erano le Corti d’Appello, disponendo anche il rientro delle cause pendenti a Strasburgo (salvo poi continuare a prorogare il termine, per cui l’Italia ancora oggi rimane la più condannata dei paesi europei, e giustamente).

Dicemmo che si trattava di una pessima legge, e che non avrebbe funzionato per i seguenti motivi: 1. disponeva la competenza nazionale per l’eccessiva durata dei procedimenti, ma nulla diceva sulle altre, numerose e gravi, ragioni di ricorso, che restavano a Strasburgo; 2. stabilendo che il risarcimento sarebbe stato dato solo nei limiti consentiti dal bilancio e, quindi, portandolo ad un livello inferiore rispetto a quello praticato in sede internazionale, aveva il solo effetto di ritardare e non eliminare il ricorso a Strasburgo; 3. essendo la giustizia italiana lenta ed inefficiente la marea dei ricorsi, che si sarebbe abbattuta sulle Corti d’Appello, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione; 4. datosi che le cose sciocche sono anche comiche, fissando la legge il termine di quattro mesi per il pronunciamento circa il risarcimento, ed essendo impossibile rispettare (in quella situazione) quel limite, questo avrebbe dato vita a nuovi ricorsi, e così via fino a morir dal ridere e dal piangere.

Oggi Mazzella dice che avevamo ragione. Grazie, ma non era così difficile. In compenso desideriamo fargli sapere che i rimedi da lui proposti sono di gran lunga peggiori del male. Per prima cosa chiede che lo Stato possa patteggiare, che, anzi, tale opportunità di patteggiamento sia obbligatoriamente da perseguirsi, pena invalidità del ricorso. L’illustre avvocato deve essersi confuso. Ma come, io ricorro contro lo Stato perché è stato con me lento ed ingiusto, e reclamo un risarcimento. Lo Stato mi dice: patteggiamo, così facciamo prima e ti pago meno. E davanti a chi patteggiamo? Dice Mazzella: lo si faccia nella stessa sede nel quale si sarebbe provocato il danno. Bella idea: patteggio con lo Stato, davanti allo Stato, a cura degli stessi che mi hanno danneggiato, a loro volta difesi dall’Avvocatura dello Stato. A certa gente vengono idee davvero originali.

Mazzella spera anche di poter sostenere (e ci dice che qualche giudice italiano gli ha dato ragione, il che spiega perché è un bene andare a Strasburgo) che il ricorso è accettabile solo se il ricorrente ha avuto ragione nel merito. Così ignorando il fatto che si può ben essere danneggiati da una giustizia che non decide, che blocca vita e lavoro, anche nel caso in cui si soccomba in giudizio (esempi se ne possono fare a centinaia: eredità, sfratti, condanne detentive che arrivano dopo venti anni, e così via).

E’ successo quel che prevedevamo: la legge Pinto non risolve niente e complica tutto. Le tesi di Mazzella sono il sintomo del deterioramento in atto. Si abbia il coraggio di fare i conti con la realtà, ci si concentri nel riformare codici e procedure che oggi producono più ingiustizia che giustizia. La Pinto, invece, non va riformata, va eliminata.

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