Giustizia

Pinto, legge sciagurata

Pinto, legge sciagurata

Sabato scorso i lettori hanno potuto apprezzare un’utile riflessione, che Gian Carlo Colombo ha voluto dedicare alla legge Pinto ed ai riflessi che questa ha avuto sui lavori della Corte Europea per i Diritti dell’uomo. Strasburgo, difatti, era divenuto il porto cui approdavano i mille e mille casi di ingiustizia italiana, ed il nostro Stato era così poco difendibile che le condanne fioccavano al punto da creare un problema politico e provocare un richiamo ufficiale (ne parlò anche il procuratore generale in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario).

Nel corso della scorsa legislatura si è provveduto ad inserire nella Costituzione il principio del diritto ad un processo equo, da celebrarsi in tempi ragionevoli. Le procure di mezza Italia protestarono ed il solito drappello di pubblici ministeri ad uso televisivo obiettò che era come supporre che, prima di quel momento, i processi non fossero stati equi. Difatti, in larga parte era così, e lo era non solo per nostra opinione, ma per ripetute sentenze della Corte che siede a Strasburgo. Detto questo, però, l’innovazione non era poi rivoluzionaria. Intanto perché quel medesimo concetto, peraltro meglio articolato e contestuallizzato, si trova nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che già l’Italia aveva ratificato (con tutte le sue successive integrazioni) e che, quindi, da noi aveva già valore equipollente al dettato costituzionale. Poi perché la prescrizione rimaneva priva di concreta fisicità, visto che mancava, in Italia, una sede cui ricorrere in caso di violazione di quel diritto. In altre parole si era, sia pure opportunamente, ribadito il noto. Ma non più di questo.

Il legislatore ha rimediato, si fa per dire, con l’approvazione, il 24 marzo 2001, della legge numero 89, detta legge Pinto, poi entrata in vigore il 18 aprile successivo. Un’approvazione in fretta ed in furia, a poche ore dallo scioglimento delle Camere.

Uno scrupolo di coscienza? Macché, il punto era che le condanne continuavano ad arrivare con la forza del diluvio e, ormai, supremo oltraggio per uno dei paesi fondatori, l’Italia si trovava a rischio di essere emarginata dal Consiglio d’Europa.

La qual cosa, sia detto per inciso, a noi europeisti faceva ribrezzo, ma non più della condizione in cui si trovava e si trova la giustizia italiana, motivo per cui ci davamo da fare per promuovere i ricorsi che poi fruttavano condanne. La pezza, però, come giustamente nota Colombo, è più colorata del buco. Si basa, infatti, sul principio che a Strasburgo si può ricorrere solo una volta esperite tutte le vie messe a disposizione dalla legge nazionale, e la legge Pinto serve proprio a dire che se è violato il diritto al processo equo si può ricorrere alla Corte d’appello. Si crea una nuova sede, quindi, prevedendo esplicitamente il rientro di tutte le cause pendenti a Strasburgo. Questo è lo scopo per il quale prese vita quella sciagurata legge.

Sciagurata perché, in verità, non copre affatto il cittadino rispetto a tutte le possibili violazioni dei suoi diritti, così come previsti e descritti dalla Convenzione Europea; prevede l’avvio di un ulteriore procedimento, che non viaggia a velocità superiore rispetto a quelli contro la cui irragionevole durata si ricorre; e, nella pratica, stabilisce indennità che non tengono conto del danno arrecato dallo Stato al cittadino e, in questo modo, sono quantitativamente meno significative di quelle che la corte di Strasburgo condannava l’Italia a pagare. Morale: le ingiustizie non vengono sanate ed il cittadino può comunque ricorrere alla Corte Europea, sia per i diritti violati che esulino dall’irragionevole durata del processo, sia anche per questi ultimi, una volta incassata una non soddisfacente risposta della corte d’Appello. Pezza colorata, ed in parte inutile, però destinata a creare confusione e problemi, oltre che a scoraggiare un poveraccio dal baccagliare per venti anni fra toghe e ricorsi.

Un pastrocchio che fa torto alla patria del diritto e segna la vittoria culturale della furbizia da imbonitori. Scrivo tutto questo per dire che Colombo ha ragione nel sostenere che a quella legge si deve porre mano, per riformarla profondamente. Ed aggiungo che si tratta di una vera battaglia civile e per il diritto, che troverà avversari sia in quanti contano sulla malagiustizia per abusarne, che in quanti contano sulla malagiustizia per salvare le penne. Una nobile battaglia di minoranza, come si vede.

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