Giustizia

Polo Nordio

editoriale La Ragione 28 giugno
Parlare di ‘svuotacarceri’ è concettualmente sbagliato e politicamente nocivo, giacché serve solo a mettere in imbarazzo una maggioranza di governo che sulla giustizia è partita con le dichiarazioni programmatiche del ministro della Giustizia Carlo Nordio (non serve a nulla aumentare i reati e abbiamo bisogno di pene alternative), poi è passata a fare il contrario (decreti legge per istituire nuovi reati e aumentare le pene, tanto lo schiavista assassino rimane indagato da 5 anni), salvo infine dover apprestare un ulteriore decreto per favorire l’uscita dei fine pena e, quindi, diminuire il sovraffollamento. Ma non si tratta affatto di un mero ‘svuotacarceri’ e – anziché approfittarne per polemicuzze – le opposizioni dovrebbero prendere la palla al balzo e tornare a fare politica.
In questo momento ci sono 10mila persone che si trovano in carcere e che non hanno avuto il piacere di conoscere neanche una sentenza di primo grado. A seguito della quale rimarrebbero, comunque, dei presunti innocenti. Nelle misure preparate da Nordio è previsto che la custodia cautelare non sia più decisa da un giudice monocratico ma da un collegio di tre giudici. Non so quanto gioverà e l’esperienza del Tribunale della Libertà non conforta, ma è un argine al forcaiolismo e l’opposto della destra che butta la chiave.
Il disegno di legge di revisione costituzionale, preparato sempre da Nordio e relativo alla separazione delle carriere fra procuratori e giudici, non è perfetto. Nulla è perfetto. Ad esempio prevede che resti l’obbligatorietà dell’azione penale, ma coordinata con «criteri omogenei», il che è una contraddizione: o è obbligatoria o ci sono criteri. Una contraddizione che esiste anche oggi, che rende il procuratore arbitro senza controlli e che impedisce di far valere la responsabilità. Nulla è perfetto, ma è un buon testo che afferma un sano principio.
A questo si aggiunge che il ministro della Difesa Guido Crosetto, fiutata l’aria, l’ha buttata lì: dedichiamoci prima alla separazione delle carriere e dopo penseremo al premierato. Dopo aver varato una scombiccherata legge sul regionalismo differenziato – salvo poi far sapere che è solo fuffa, perché tanto non ci sono i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, mancanti sia di definizione che di dotazione finanziaria) – è un saggio consiglio.
Fin qui sappiamo che Azione e Italia Viva divergendo convergono nel voler votare la riforma e la separazione delle carriere. Facciano qualche cosa di più: si mettano al lavoro, alla luce del sole, anche convocando confronti pubblici (Ugo La Malfa affrontò Giorgio Amendola e Pietro Ingrao all’Eliseo per convincerli, non per sbertucciarli), facendo quello che la destra meloniana non può fare: proselitismo a sinistra. Anziché rinfacciarsi l’intenzione o meno di entrare nel ‘campo largo’, provino a evitare che sia un camposanto del pensare e della cultura giuridica. Non voglio neanche credere che la sinistra sia compatta nel fare la destra giustizialista e non voglio neanche immaginare che sia tutta prona al corporativismo togato. Se fosse così non resterebbe che seppellirne la credibilità, ma non è così. E il compito di svellere le resistenze e fugare le paure non può essere del campo avverso, ma di quel polo intermedio che può trovare refrigerio e compattezza al PoloNordio.
Immaginate il successo: parte consistente della sinistra si convince ad abitare la civiltà del diritto, smette di fare il verso alla peggiore destra e assicura che la riforma Nordio, emendata, diventerà legge con la maggioranza dei due terzi. A quel punto si vedrebbero esplodere le contraddizioni a destra e la maggioranza sarebbe indebolita dall’apertura, mentre normalmente si rafforza nello scontro. Sarebbe come dire che taluno torna a fare politica.
Vabbè, lo so, non capita. Era così per dire. Una reminiscenza di come Baslini e Fortuna fecero fare un passo in avanti alla società non irridendo i contrari, ma accrescendo i parlamentari favorevoli al divorzio.
Davide Giacalone, La Ragione 28 giugno 2024
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