Giustizia

Potenza di Potenza

Potenza di Potenza

I giornali pubblicano la notizia come se fosse normale, evitando di sottolinearne il significato paradossale: il Consiglio Superiore della Magistratura avvia una procedura di trasferimento per quattro magistrati della procura attualmente più mediaticamente esposta d’Italia, quella di Potenza,

ma i quattro non hanno nulla a che vedere con le inchieste sulle vallette e le foto, sono però a loro volta sotto inchiesta, a Catanzaro, per un supposto “comitato d’affari”. Al Csm alcuni consiglieri avevano suggerito che il trasferimento, per incompatibilità ambientale, valesse anche per i magistrati più fotografati e teleripresi, ma si è deciso di soprassedere per evitare che anche la sola ipotesi di un provvedimento disciplinare suoni come ingerenza nell’inchiesta. Il tutto nel mentre si svolge un’ispezione ministeriale relativamente ad un’indagine che sembra aver coinvolto anche il ministro della giustizia.
La cosa interessante è il Csm: da una parte procede contro magistrati la cui presunzione d’innocenza è comunque intatta (ma procede a ragione, perché le faccende disciplinari sono indipendenti dalle indagini penali), dall’altra evita di procedere dove potrebbe suonare censura nei confronti di chi indaga (con il che ammettendo, però, che le due cose non sono indipendenti). Inoltre omette di procedere dove l’esposizione mediatica è più massiccia, direi decisamente imponente, confermando che, per un inquirente, l’essere famoso è già una prima condizione d’intoccabilità. E questo non induce a starsene tranquilli.
L’inchiesta che rende famosi, inoltre, è solo l’ennesima di altre, in un crescendo rossiniano d’arresti e supposizioni, già verificatesi come infondanti. Gli arrestati dell’estate scorsa, famosi quanto basta per rendere famosi e sproporzionatamente esposti al pubblico ludibrio, sono già stati prosciolti in istruttoria (da altre procure). Ma questo non interessa al Csm, non inquieta l’organo d’autogoverno, che, anzi, esplicitamente esclude di doversene occupare.
Quindi, se ben comprendo, l’iniziativa disciplinare si avvia nei confronti di magistrati che altri magistrati stanno indagando (a torto od a ragione, non ne ho idea e, comunque, lo sapremo solo con le sentenze), ma si astiene laddove è il lavoro istituzionale ad essere condotto in modo che potrebbe apparire non ortodosso, e comunque non produttivo, riservandosi semmai di valutare i risultati dell’ispezione ministeriale. Nell’un caso come nell’altro, senza che risultati concreti siano alle viste prima di mesi.
Mica male come quadretto riassuntivo del perché il Csm è inutile all’autogoverno della magistratura.

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