Giustizia

Prescrizione e diritticidio

Prescrizione e diritticidio

Come con il tassello per il cocomero, ci sarà un modo, il prossimo 29 agosto, quando il Consiglio dei ministri dovrebbe varare provvedimenti e disegni relativi alla giustizia, per sapere cosa si nasconde sotto la buccia: guardare alla prescrizione. Sarà il sintomo rivelatore.

Ci sono tre possibilità. La prima è che quel tema non ci sia proprio, che decidano di rinviarlo a un secondo momento, dopo l’apposito approfondimento. In quel caso siamo nell’anticamera del flop. I soliti annunci che non preludono a fatti significativi. Vorrà dire che ha fatto breccia il consiglio del presidente della Repubblica: si evitino scelte divisive. Del resto, non solo l’avviso presidenziale ha preceduto le mosse del governo, ma il ministro della giustizia si è recato a illustrare e concordare le proprie iniziative al Colle, prima di sottoporle al giudizio delle forze parlamentari. Forse per dimostrare che della Costituzione c’è poco da conservare, visto che non la si deve osservare. A parte, comunque, che le democrazie funzionano proprio sulla base delle divisioni e della contabilizzazione dei consensi da una parte e dall’altra, ma divisivo da chi? Non risultando accesi focolai di dissenso politico s’intende che non è il caso di dividersi troppo dalla corporazione togata. Nel qual caso, appunto, sarà il nulla.

La seconda possibilità è che si riveda la prescrizione allungandola. In questo caso non sarebbe un flop, ma il trionfo della malagiustizia. Supporre di propiziare processi più veloci allungando la prescrizione, quindi la loro ipotetica durata, è talmente assurdo da non meritare spiegazione ulteriore. Mi preoccupo non solo perché in quello sciagurato senso ci sono state alcune anticipazioni, ma l’allungamento della prescrizione è stato chiesto anche in campo fiscale. Le cose stanno così: la prescrizione, ovvero la cessazione, nel tempo, della pretesa punitiva dello Stato, è il presupposto indispensabile per parlare di cittadini e non di sudditi tendenzialmente schiavi; esiste in tutti i sistemi civilizzati e deriva dal diritto romano; allungarla non serve a condannare i colpevoli (come populisticamente si fa credere), ma ad assolvere lo Stato che non sa fare il proprio mestiere. Si dice: ma una volta iniziato il processo la prescrizione va fermata. Nei sistemi dittatoriali e teocratici. Forse. Non nei sistemi di diritto, perché un cittadino non può essere condannato a restare sotto processo né per una vita, né per un tempo irragionevole. Pare che la proposta del governo sia la seguente: la prescrizione si ferma e allunga solo in caso di condanna in primo grado. Abominevole: il processo deve essere equo e in tempi ragionevoli a difesa della collettività, mica come bonus che si conquista con l’innocenza. Senza considerare l’irragionevolezza di ritenere possibile allontanare il giudizio definitivo per i probabili colpevoli. Roba da pura scuola di diritto delinquenziale. Tutte cose ovvie, per chi abbia anche solo fugacemente frequentato una biblioteca.

La terza possibilità è che si affronti il problema dal giusto verso: la prescrizione rimane (semmai s’accorcia), ma sono interdette le pratiche meramente dilatorie, tendenti a bloccare il procedimento penale (o fiscale) per far scattare la sua scadenza. Tutti, a questo punto, pensano che siano tecniche della difesa. E’ vero, lo sono, ma lo sono anche dell’accusa. Alla prescrizione punta la procura che sa di stare accusando un innocente, in modo da chiudere la faccenda senza incassare la sconfessione del proprio “teorema”, come anche la difesa che sa di rappresentare un colpevole, in modo da evitare la condanna. Rimedio: proibito, per le procure, superare anche di una sola ora i tempi previsti dalla procedura penale; proibito, per i giudici, superare di una sola ora i tempi previsti per udienze e deposito sentenze; proibito, per le difese, fare ostruzionismo. Nei primi due casi la sanzione deve essere relativa alla carriera: chi non rispetta le scadenze ne fa poca, chi non le rispetta mai viene buttato fuori. Nel terzo caso la scorrettezza si riverbera sul giudizio, quando non in deferimenti degli avvocati che esorbitassero la loro legittima e irrinunciabile funzione.

Tutto ciò nel penale. Nel civile non c’è prescrizione, ma i tempi sono comunque inaccettabilmente lunghi. Posto che in tutta Italia ci sono le stesse leggi e che gli italiani sono più o meno gli stessi, guardando la cartina geografica e valutando i tribunali con maggiore arretrato e minore produttività, si scopre che più è lenta la giustizia più cresce la conflittualità. Segno che meno si arriva a sentenze e più il tribunale è l’oasi in cui si rifugia chi ha torto. Non serve inventarsi fughe dal diritto, serve valutare i magistrati in base alla bontà e celerità del lavoro che svolgono. Allora sì, che cambierebbe l’andazzo.

Vedremo il testo. Una cosa è sicura: se i magistrati non vengono valutati per la competenza e la tempestività con cui svolgono il loro lavoro, gli avvocati non vengono interdetti se anziché difendere gli assistiti provano a evitare che siano mai giudicati, se queste due cose (associate) disincentivano ogni ricorso a riti alternativi o patteggiamenti, se tutto ciò provoca il patologico accumularsi dell’arretrato, arrivare alla fine e allungare la prescrizione non è neanche un errore: è complicità in diritticidio.

Pubblicato da Libero

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