Sono favorevole all’accorciamento dei termini della prescrizione. Sono favorevole all’immunità parlamentare. In questi, come in altri casi, non mi preoccupa l’eventuale impopolarità delle nuove leggi, perché il legislatore non solo può, ma deve sfidare la piazza ove ritenga giusta una nuova norma. In questi, come in altri casi, mi preoccupo che si stia seguendo un disegno politico, e non inseguendo una qualche necessità contingente. Perché qui, in fondo, è il confine che divide la politica dalla politicuzza.
In Italia i termini per la prescrizione dei reati sono troppo lunghi perché parametrati a pene massime che sono troppo alte. La legge dice che un reato si prescrive quando è passato un tempo pari alla massima pena prevista, per quel reato, aumentata (se è in corso un giudizio) della metà. La proposta che la maggioranza sembra voler approvare stabilisce che l’aumento potrà essere solo di un quarto, ove l’imputato non sia recidivo. Ma, anche in questo caso, si tratta di tempi assai lunghi, che, a loro volta, incentivano la normale sciatteria giudiziaria, con termini che, quando riguardano il lavoro dei magistrati, non sono mai perentori, ma sempre ordinatori, se non meramente indicativi. E allora?
E allora si dovrebbe mettere mano non alla disciplina della prescrizione, ma al codice penale. Leggo che Carlo Nordio sostiene di aver completato il lavoro affidatogli da questo governo, consistente, appunto, nel riscrivere il codice penale e quello di procedura. Bene, si porti quel lavoro all’attenzione delle Camere, ed in quello s’inserisca, se non c’è già (ma c’è, perché Nordio parla di pene meno esagerate e certe, oltre che di depenalizzazioni) l’accorciamento della prescrizione.
L’immunità parlamentare era un istituzione giusta e civile, eliminata da un Parlamento entrato in fase suicida. Non serve a difendere i parlamentari dal giudizio penale, ma dall’eventualità che un’inquisizione assuma la forma della persecuzione. Intendiamoci, dalla persecuzione devono essere difesi tutti i cittadini, non solo i parlamentari, ma data la particolare natura degli eletti dal popolo, a questi ultimi è bene offrire un sovrappiù di garanzie, che sono a tutela del potere legislativo, non delle singole persone.
Il guaio è che se si procede in modo sussultorio e sincopato, senza un disegno politico degno di questo nome, anche le misure giuste (come giuste furono quelle sulle rogatorie e sulla legittima suspicione) assumono lo sgradevolissimo sapore di provvedimenti zeppa, buttati lì per fermare questo o quel procedimento. E dato che questo sapore lo sentiamo in bocca da molto tempo, è ora di dir le cose con chiarezza.
La legislatura non è terminata, c’è ancora tempo per far cose degne. Fra le cose da farsi c’è la riforma della giustizia, che in Italia è quasi sempre malagiustizia. Malagiustizia che crea una zavorra d’inciviltà e di viscosità che danneggia seriamente anche il mercato economico. Di recente si è varato il nuovo ordinamento giudiziario, un pannicello caldo (avversato con incredibile foga dalla corporazione togata) che riguarda solo di striscio i bisogni ed i diritti dei cittadini. Mentre al resto si deve ancora mettere mano. Il tempo c’è, lo si faccia. Se a riforme serie si rinuncia, però, allora la semplice decurtazione dei tempi di prescrizione, per quanto giusta, è grandemente inopportuna, come inopportuna sarebbe la reintroduzione della giusta immunità parlamentare. Ed il giusto diventa inopportuno perché più diretto ad imbrigliare ulteriormente la giustizia, che a liberarla.
La maggioranza di centro destra si è presentata agli elettori dicendo che avrebbe cambiato la realtà di una giustizia che non funziona, ed anche per questo (a mio avviso opportunamente) ha avuto la fiducia degli italiani. Se suscita proteste attuando il proprio programma, noi siamo dalla parte del governo e della sua maggioranza. Se al programma rinuncia, se alla difesa degli interessi collettivi predilige i suggerimenti di qualche legale incapace di vincere i processi affidatigli, allora non ci stiamo. Non ci stiamo perché non ce ne importa nulla della sorte di questo o quell’imputato, né in un senso né nell’altro, c’interessa la sorte della giustizia, che deve essere capace di punire i colpevoli senza massacrare gli innocenti. Se si sommano le giuste norme su rogatorie, suspicione, ordinamento giudiziario, prescrizione ed immunità, e le si lascia fuori dal contesto di una riforma che aggredisca i problemi di un enorme disservizio alla cittadinanza, alla fine il bilancio sarà scarso, dal punto di vista sostanziale, e puteolente dal punto di vista politico.