Giustizia

Processi senza verdetto

Processi senza verdetto

L’Italia è ancora, tanto per cambiare, precipitata nel caos delle inchieste giudiziarie e dell’inconcludenza politica. Non se ne esce sperando che passi, perché, senza interventi chiari, la situazione può solo peggiorare. Esaminiamo, allora, le tre questioni di maggior clamore, cercando di capire cosa insegnano e come si può utilizzarle per voltare pagina.
Le tre partite, esemplari, sono: a. il processo Mills-Berlusconi; b. l’inchiesta fiorentina sulla protezione civile e i lavori pubblici; c. quella romana sulla triade Fastweb-Telecom Italia-‘ndrangheta. La prima dimostra che due torti non fanno una ragione: da una parte c’è chi usa l’arma legislativa per non farsi processare, dall’altra chi usa i processi per aggirare le leggi. La conclusione è nulla, come la Cassazione ha chiarito, ma si sono persi anni e bloccato il Parlamento, con un elevato costo collettivo. La seconda dimostra che se le intercettazioni telefoniche possono essere un utile strumento d’indagine, l’affidarsi prevalentemente a quelle trasforma le inchieste in pettegolezzi, e la loro pubblicazione sostituisce il moralismo senza etica al processo. Siamo sommersi da trascrizioni, sappiamo quel che dovremmo ignorare su tante faccene private, ma manca la conclusione penale, che quando arriverà, se arriverà, non rimedierà a nulla. La terza, infine, snuda il malcostume societario, evidenzia la propensione a eludere (o evadere) il fisco e gonfiare i bilanci, dimostra le connivenze ambientali che neutralizzano i controlli societari, ma poi si lancia in iperboli criminali che (mi sbaglierò) ben difficilmente resisteranno al vaglio di un serio dibattimento penale.
In tutti e tre i casi, però, le conseguenze negative sono immediate, mentre l’eventuale giustizia arriva troppo tardi, o non arriva mai. Morale, o, meglio, immorale della favola: si conferma l’impressione che la nostra vita civile sia marcia, si trasmette nel mondo un’immagine nefanda dell’Italia, e non si pone alcun rimedio, neanche relativo al timore della pena (o al timore che rovinando ingiustamente dei cittadini, con accuse infondate, si debba poi patirne le conseguenze). Il tutto con gli arresti che sono divenuti, assieme alle intercettazioni, l’unico modo di far passare le indagini dal silente accertamento allo strombazzato sputtanamento.
Così procedendo ci seppelliremo, da una parte con il giustizialismo e, dall’altra, con la mancanza di giustizia. A questo s’accompagna uno stucchevole dibattito sulla moralità degli italiani, quasi a dimostrare che subiamo le conseguenze di tare genetiche. Invece, pur tenendo nel conto il familismo e lo scarso senso dello Stato, gli italiani che si guadagnano da vivere, lavorando e intraprendendo, sono decine di milioni. A loro manca una cosa indispensabile: una giustizia che funzioni. Ecco, questo è il terreno su cui deve misurarsi la politica, non appena conclusa l’ennesima campagna elettorale. Non ci sono scuse, non c’è tempo da perdere: si mettano subito in cantiere le riforme di cui abbiamo tante volte parlato, comprese quelle di rilievo costituzionale. Su quelle si chiami l’opposizione al confronto, offrendo, così, temi concreti a chi ha voglia di misurarsi, nell’interesse di tutti, e lasciando a dimenarsi quanti sperano d’essere visibili grazie alla propaganda.
Se questo sarà l’approccio, allora perderanno quota, a destra come a sinistra, gli speculatori e i ricattatori, quelli che puntano tutto su un populismo con radici fortemente antidemocratiche. Ma se, invece, di questo non si sarà capaci, se su questo falliranno i gruppi dirigenti, prima della maggioranza e poi dell’opposizione, allora si preparino ad assistere alla propria dissoluzione. Nessuno li rimpiangerà, se non per il fatto che un Paese che fa fuori, ogni venti anni, la propria classe dirigente è, semplicemente, un Paese privo di classe dirigente.

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