Giustizia

Processo al Parlamento

Processo al Parlamento

C’è un nesso fra il processo in corso a Napoli e l’instabilità politica che si trascina da anni, in queste ore capace di dilaniare il Partito democratico e sfarinare l’ennesimo governo. Un nesso che non si vede solo a patto di coprirsi gli occhi con il fanatismo. A Napoli si procede penalmente, con la pretesa di punire la compravendita di senatori. La sola ipotesi che un reato simile possa essere contestato dovrebbe suscitare lo scandalo istituzionale e giuridico. Così come, del resto, il fatto che degli eletti cambino schieramento per convenienze personali è giusto crei scandalo politico e morale.

E’ vero che esistono esempi, nella storia e nelle diverse democrazie, di cambi di casacca con nobili intenti e risultati positivi. Ma è più facile e frequente che si tratti di opportunisti, trasformisti e avanzi di politicantismo. Nel caso specifico, quando un drappello di pretesi “responsabili” soccorse il governo di centro destra, appena reduce da una scissione della propria maggioranza, qui scrivemmo che si trattava di un errore. Sia pure con l’attenuante che il presidente della Repubblica rifiutava di aprire la più logica e pulita via d’uscita: le elezioni anticipate. Ma questo è il ragionamento politico. Prevale, ora, quello istituzionale e giuridico.

Il solo fatto di potere contestare il trasloco interessato di parlamentari, quindi il solo fatto che l’autorità giudiziaria possa entrare nel vivo della vita parlamentare e valutare la legalità dei voti espressi, è sufficiente a dichiarare morta la democrazia parlamentare. Ove mai le presidenze delle Camere, così come tutti i gruppi parlamentari, a cominciare da quelli non direttamente coinvolti, avessero una sia pur pallida idea della dignità politica e della libertà parlamentare, ci si sarebbe dovuti attendere una sollevazione. Invece il silenzio s’accompagna al compiacimento. Vado oltre: fra i poteri costituzionalmente elencati del presidente della Repubblica, non a caso collocato a capo degli ordini da considerarsi subordinati al potere legislativo ed esecutivo, c’è quello di sorvegliare la permanenza dell’equilibrio fra i poteri, sicché sarebbe stato opportuno sentire l’alto monito del Colle. Invece si sentì solo relativamente a una propria testimonianza, cosa che lo indusse anche a consultare la Corte costituzionale. Per gli altri poteri, evidentemente, non si ha eguale sensibilità.

La Costituzione prevede esplicitamente l’assenza di ogni vincolo di mandato, quindi ammette, senza equivoci, che ciascun parlamentare non solo non ha legami indissolubili con il proprio elettorato (che, del resto, non conosce), ma neanche con il proprio gruppo parlamentare o partito. E’ la Costituzione a prevedere che i governi prendano la fiducia nelle due Aule, dovendosi raccogliere il voto di ciascun parlamentare, non la sommatoria degli iscritti ai vari partiti. E’ la Costituzione, pertanto, a tutelare la libertà di ciascun eletto, che, di volta in volta, può votare o negare la fiducia. Ciò non toglie che se un eletto con l’opposizione poi si converte al convento governativo, chi lo ha sostenuto, candidato o eletto ha il metaforico diritto di sputargli in un occhio. Ma se la faccenda si sposta in tribunale a perdere la libertà non è l’imputato, ma il Parlamento. Se i partiti che elessero i trasformisti (quindi i responsabili del prodotto) si costituiscono parte civile, il processo diventa politico e alla politica. Addio Stato di diritto.

Dal Parlamento inglese a quello statunitense è assolutamente normale che le leggi di spesa, in primis il bilancio statale, aprano una stagione di trattative e baratti. I parlamentari onorabili scambieranno il voto a favore su una cosa con il favore altrui verso gli interessi che rappresentano. Quelli disonorevoli negozieranno favori personali. Ma è normale, oltre che infinitamente migliore degli scontri fra truppe ideologizzate. Poi ne rispondono agli elettori, con una stampa che racconta tutto (sempre). L’idea che possano risponderne in tribunale farebbe inorridire qualsiasi difensore della democrazia. E se, come pare, ci sono stati passaggi segreti di denari, magari all’estero? Allora non si risponde del voto espresso, ma di reati che vanno dall’evasione fiscale ai fondi neri, a reati valutari. Non serve il “movente”, bastando dimostrare il fatto.

Il legame con la scena politica è solare: il problema non è che (non) governi Letta o che ci provi Renzi, ma che, nella situazione data, chiunque lo fa senza una maggioranza elettorale. Il che comporta, anche solo per approvare sistemi elettorali maggioritari, la condivisione della storia e di alcuni valori democratici, a cominciare dal rispetto dell’opposizione. Che va a farsi benedire se s’insiste nella pretesa di mandarne carcerato il capo. E mentre su vicende imprenditoriali o sessuali, sebbene con non poca ipocrisia, si può far finta di sostenere che sono affari personali, su una faccenda come questa è impossibile. Talché l’Italia resta ingovernabile finché ciascuno può gridare al “colpo di Stato” ogni volta che l’altro prevale. Lo capiscono tutti. Tranne i fanatici. Che da troppo occupano la scena.

Pubblicato da Libero

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