Giustizia

Processo non corrida

Processo non corrida

Prima che parta la corrida fra innocentisti e colpevolisti, prima che ogni bar si trasformi in tribunale, e prima che le improvvide parole del ministro dell’interno (“preso l’assassino”) si confermino sentenza senza neanche sentire la difesa, sarà bene che si passi all’unico strumento legittimo per dividere le chiacchiere dalla giustizia: il processo. Da farsi subito. Il pubblico ministero titolare dell’inchiesta ha detto ieri di non escludere il rito abbreviato. Quella è la via da imboccare, senza esitazioni.

Perché l’atroce morte di una ragazza, Yara, non vada a far compagnia a casi come quello di Perugia (omicidio di Meredith Kercher), Garlasco (omicidio di Chiara Poggi), Roma, via Poma (omicidio di Simonetta Cesaroni), e altri. Ricordando che il sospettato è stato appena arrestato, ma non potrà essere tenuto in carcere troppo a lungo, da presunto innocente. In tal senso si guardi a quel che accade a Torino, dove Francesco Furchì, sospettato di un omicidio (quello di Alberto Musy), è in carcere dal gennaio 2013, si proclama innocente e da quasi due mesi fa lo sciopero della fame. Non è che dirsi innocente e protestare basti a determinare un giudizio, ma neanche bastano l’accusa della procura e la misura cautelare. E se si voglio evitare due abomini, ovvero che un innocente resti in galera o che un colpevole venga liberato per decorrenza dei termini, c’è un solo modo: fare il processo.

Il rispetto delle garanzie e delle procedure, nonché dei tempi, non serve a salvare gli imputati, ma i processi. Le conferenze stampa (ieri gli inquirenti hanno sostenuto di avere convocato i giornalisti perché avvertivano una “grande attesa”) hanno l’effetto immediato di massacrare gli indagati, ma quello successivo di distruggere processi e giustizia. Le conferenze stampa organizzate a suon di prove ed evidenze, per giunta citando percentuali di certezza scientifica, chiamano le conferenze stampa della difesa, a suon di irripetibilità degli esami, contaminazione dei campioni e così via. Dopo una tale gara microfonata e videoripresa saranno i baristi a presiedere i processi, peraltro celebrati con grande tempestività. Siccome è interesse collettivo che i colpevoli siano assicurati alla pena, come gli innocenti liberati dal sospetto, tutto questo porta solo male.

Nel caso dell’omicidio Yara c’è stato un gran dispiego di strumentazione scientifica, ruotante attorno al Dna rinvenuto sugli indumenti della vittima. Bene. Molto bene. Se la strada porta al colpevole: evviva. Il problema di diritto che si apre è il seguente: l’esame del Dna è prova (grave, precisa e concordante) sufficiente per ottenere una condanna? La risposta si può averla in un solo modo: con il processo. Ci sta, naturalmente, che una volta individuato il possibile colpevole si facciano altre indagini, in modo da verificare il suo coinvolgimento anche con altri indizi, capaci di diventare prove al dibattimento. Ma sentir dire che le indagini cominciano adesso, o che “abbiamo abbastanza tempo per indagare, senza avere il fiato sul collo”, lascia almeno perplessi: non so se sfiati sul collo di qualcuno, ma un presunto innocente è in carcere, direi che ciò suggerisce l’opportunità di condurlo davanti al suo giudice naturale (che non è quello delle indagini preliminari, responsabile esclusivamente della fase pre-processuale, e neanche tutta).

Non è che io provi un gusto perverso nel prendermela con gli inquirenti che rilasciano interviste o convocano conferenze stampa. Essi potrebbero sostenere che succede anche in altre parti del mondo civilizzato. Avrebbero ragione. Ma c’è un dettaglio: in quelle altre parti del mondo gli inquirenti non sono magistrati, colleghi di chi giudicherà, ma avvocati dell’accusa o sceriffi. E sono l’ultimo a volere giocare al piccolo giudice, ma stona sentire dire che non si sa se il telefono cellulare è stato spento o meno, ma da un certo punto in poi smette di essere utilizzato e mandare segnali, perché i telefoni cellulari non smettono mai di mandare messaggi alla rete, se non spenti. E’ un’osservazione che faccio solo perché mi occupo di telecomunicazioni da lustri, ma lasciate perdere. Come non detto. Il punto è: se sei parte, e la procura è parte, non puoi essere collega. Finché l’Italia non cancellerà questa anomalia, sconosciuta nel mondo del diritto, tutto avrà un sapore fuorviante. E, del resto, da Milano giunge una lezione rilevante: quando magistrati della procura si contestano fra loro gravissime scorrettezze l’organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura, spintaneamente archivia.

Da queste cose passa la credibilità della giustizia, assai più che da tante polemiche politiciste. Per la settimana prossima è annunciata la presentazione, al Consiglio dei ministri, di un “pacchetto giustizia”. Un insieme di riforme che, da troppi anni, sono improcrastinabili e irrinunciabili. Ne tengano conto, al governo. Nessuno sta a contar loro le ore o i giorni, ma questa partita è decisiva. Il governo Renzi ha un’occasione storica. Non la sprechi.

Pubblicato da Libero

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