Giustizia

Procuratore a Roma

Procuratore a Roma

Medice, cura te ipsum. Questo viene in mente leggendo il libro di Vittorio Mele (“Procuratore a Roma”, Tempo Lungo Edizioni), leggendo le molte pagine che l’ex capo della procura dedica al caso che lo ha coinvolto, e che gli costò il posto. E, del resto, la stessa identica cosa si sarebbe potuta dire al suo successore, Michele Coiro, anch’egli finito in uno scandalo che gli costò il posto, e forse la vita, anch’egli incapace di comprendere che quel che lamentava per se stesso veniva da egli stesso praticato sugli altri.

Il fatto che questi uomini non siano stati capaci di vedere nelle proprie azioni e nelle proprie parole il seme della pianta che li avrebbe eliminati, non toglie che essi hanno avuto, ed ha ragione l’autore, a denunciarne la velenosità. Meglio tardi che mai.

Per consentire al nostro lettore di comprendere, propongo la lettura di un passo dell’introduzione, scritta da Ettore Gallo, che è stato anche Presidente della Corte Costituzionale: “Nella vicenda dell’Autore, nessuno dei responsabili ebbe la doverosa pazienza di aspettare il solo pronunciamento decisivo, quello dell’Autorità giudiziaria competente, sicché l’Autore subì l’attacco continuo della stampa, che attingeva alle reiterate calunnie di un personaggio di tal fatta, fino a quando l’integerrimo magistrato, disgustato, si dimise dalla magistratura. Come era da prevedersi, poco dopo l’Autorità competente di Perugia concluse la vicenda con l’archiviazione del tutto, su conforme richiesta del PM, aggiungendo che non era emersa in alcun modo una situazione di disponibilità di Mele nei confronti dell’accusatore. Gli esperti sanno bene ciò che significhi: non si è trattato né di un’assoluzione in dibattimento, né di un proscioglimento istruttorio, ma della trasmissione degli atti all’archivio. Vale a dire che non esisteva nulla di nulla, sicché non sarebbe stato possibile alcun pronunciamento perché non c’era assolutamente nulla su cui giudicare. E contro il calunniatore il PM aprì un procedimento. Ma certa stampa, che tanto aveva infierito, non si è degnata di dare pubblica riparazione. E intanto il danno subito dall’immagine di un grande magistrato galantuomo non poté avere altro riconoscimento se non l’immediata nomina a Consigliere giuridico del Ministero degli Esteri, incarico che tuttora detiene, il conferimento della qualifica di Procuratore generale onorario della Corte di Cassazione e l’essere insignito dal Capo dello Stato – motu proprio – della più alta onorificenza al merito della Repubblica.

” (?) Come è stato possibile che, anche in questo caso, la stampa abbia potuto imperversare in quel modo su un probo magistrato, calunniato da un individuo inquisito ed arrestato per molte malefatte? La stampa ha il dovere di informare, sì, ma non violando impunemente i divieti di legge. Per ogni attività della vita esistono sempre limiti che la legge pone, al fine di assicurare una pacifica convivenza nella società e la legge penale punisce chi arbitrariamente li ignora. Perché allora è diventata consuetudine odiosa consentire alla stampa di violare apertamente quei limiti, senza che mai alcun PM si prenda la briga di rilevare la violazione della legge penale? E’ questo – beninteso – un principio che dovrebbe valere a tutela di qualunque cittadino e non soltanto del magistrato. Certo c’è anche reato nel modo con cui la stampa riesce ad ottenere le notizie ancora prima dell’interessato, ma ci rendiamo conto che purtroppo questo non è di facile accertamento. Almeno però la pubblicazione delle notizie concernenti il segreto di ufficio, il segreto istruttorio si dovrebbe perseguire anche attraverso l’azione penale. L’iniqua disavventura del magistrato sarebbe stata più sopportabile se non fosse stata aggravata da una diuturna pubblicità, che negava all’offeso ogni possibilità di vedere pubblicata qualche sua rettifica o risposta”.

Com’è vero. Ma si sono accorti, autore e prefatore, che tale barbarie era d’uso comune ed assai diffuso, senza che essi abbiano sentito il dovere di levare il loro grido di sdegno? E si è accorto l’autore che tale malcostume si è applicato anche a casi da lui direttamente citati, senza che si sia accorto, l’autore, che sono intercorse delle assoluzioni? Rifletta, su questo, e si accorgerà che appartenere alla stessa corporazione di chi massacra il diritto ed i diritti è, non di rado, un vantaggio.

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