Giustizia

Regole che non regolano

Regole che non regolano

Roberto Cota è stato liberamente, democraticamente e regolarmente eletto dai piemontesi. La notizia non è proprio freschissima, perché risale alle elezioni regionali, ma oggi riprende vigore visto che il Consiglio di Stato ha sospeso gli effetti della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale di Torino, che aveva disposto il riconteggio delle schede, annullandone molte e mettendo in forse il risultato già noto. C’è il lieto fine, dunque? No, perché non è lieto e non è neanche la fine.

E’ sospeso l’effetto, ma non cancellata la sentenza stessa. Visto che la decisione del Consiglio di Stato è stata presa nel merito, sembra evidente che l’esito sarà ulteriormente favorevole all’attuale presidente del Piemonte, e all’onestà delle elezioni. Si deve aspettare un ulteriore passaggio. Quel giorno ci sarà la parola “fine”, ma ugualmente non sarà lieta. Per due ordini di ragioni: generali e politiche.

Le ragioni generali sono evidenti: ma come si fa a vivere in un sistema in cui un tribunale t’impone di fare una cosa e, mentre la fai, un altro ti fa sapere che non avresti dovuto neanche iniziare. I pervertiti diranno che questo dimostra il funzionamento della giustizia e l’indipendenza dei vari giudici. E’ una visione ottimistica della vita. Si può leggerla in modo diverso: nulla è più aleatorio della certezza del diritto. Restiamo al caso specifico: se il Consiglio di Stato stabilirà, nel merito, che le due liste contestate erano regolari e i loro voti in nessun caso esclusi, ne deriverebbe che i giudici del Tar non sono dei liberi pensatori che hanno applicato diversamente il loro senso critico, ma dei somari. Che continueranno ad esercitare la loro arte.

Vi racconto una cosa. Quando l’ho saputa sono rimasto a bocca aperta: ai giudici di primo grado, che redigono una sentenza, non viene mai notificato se in secondo grado o in cassazione quella stessa sentenza viene annullata, magari con motivazioni che stabiliscono quanto sono incapaci. Se sono persone diligenti vanno a cercarsela da soli (ma se sono diligenti sono anche bravi, o, almeno, bravini), altrimenti: ciccia. Come fa a funzionare una macchina in cui se uno è bestia e altri lo stabiliscono nessuno glielo dice? Infatti, non funziona.

La faccenda, lo scrivevamo giusto ieri, non riguarda solo la politica, ma tutto intero il sistema produttivo. Se fai una gara, oggi, puoi star sicuro che continua al Tar. E se le sentenze si contraddicono fra loro il sistema s’impantana. Se la matassa si dipana dopo troppo tempo, il sistema si ferma. Il rischio imprenditoriale relativo al non funzionamento della giustizia è, oggi, talmente alto che lo affrontano a cuor leggero giusto i delinquenti.

Poi c’è l’aspetto schiettamente politico: questa gente ricorre a cuor leggero perché non è in grado di valutare il danno arrecato alla credibilità delle istituzioni. La democrazia si regge anche sulla fiducia, mentre l’idea che sia tutto un broglio e un imbroglio nuoce seriamente alla sua salute. Capisco che stiamo parlando di due universi diversi, ma, nel 1953, Alcide De Gasperi non chiese il riconteggio delle schede, che quasi certamente avrebbero fatto scattare il premio di maggioranza, perché lo riteneva pericoloso per l’Italia. Capite? Era conveniente per lui e per il suo partito, ma sarebbe stato pericoloso per l’Italia. E non lo fece. Il che non lo mise al riparo da attacchi furibondi di quegli stessi che oggi ne parlano come di uno statista.

Quando esisteva la politica esisteva anche l’interesse del Paese. Ma nell’Italia delle mezze cartucce c’è solo il ricorso per ottenere la propria ragione. Come in un condominio rissoso e misero.

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