Si possono scudare i medici, come anche altre categorie esposte al rischio di denunce continue o pretestuose, ma quel che il Consiglio dei ministri varerà, con un disegno di legge delega messo a punto dal Ministero della Sanità, non risolverà il problema. Anche perché non lo affronta e si limita a stabilizzare quel che era stato varato in via provvisoria.
Per sperare di risolvere un problema occorre prima avere le idee chiare su quale sia. In Italia non c’è un problema di condanne in capo ai medici, per colpe relative all’esercizio della loro professione. Sono poche e non è detto che siano tutte infondate. Il problema che abbiamo sono le denunce, all’incirca 20mila all’anno, che innescano altrettanti procedimenti penali. Il che spinge molti medici a praticare quella che viene chiamata ‘medicina difensiva’, ovvero prescrivere numerosi esami inutili al solo scopo di non sentirsi rimproverare di non averlo fatto. Se anche dovesse capitare qualche cosa, quel professionista potrà sempre dire di avere fatto tutto il possibile e indagato l’immaginabile. Tutto ciò si traduce in costi per la collettività e intasamento delle file presso i gabinetti di analisi.
L’idea di offrire uno scudo ai medici si limita a sfiorare la questione. Intanto perché si stabilisce che il medico è perseguibile solo a partire dalla colpa grave: ma come si fa a sapere se ricorre quella condizione? Si avvierà un procedimento penale e sarà un giudice a stabilirlo. E si riparte dalla prima casella.
Poi perché la legge stabilirà che «la responsabilità civile della struttura sanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è esclusa se la prestazione sanitaria è stata eseguita in conformità alle raccomandazioni previste (…) o alle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le predette raccomandazioni o buone pratiche risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Tralasciando l’italiano, che meriterebbe una fasciatura, è come dire: «Non si dà luogo alla multa per divieto di sosta se la vettura non è in divieto di sosta». Non ha l’aria risolvere molto. Il fatto è che, ancora una volta, per sapere se raccomandazioni e buone pratiche sono state seguite si dovrà chiederlo a un giudice. E risiamo alla prima casella.
Un po’ preoccupa il passaggio secondo cui si dovrà tenere conto dell’eventuale carenza di personale o di attrezzature. Che va pure bene come esimente per il medico, ma dopo avere preso per l’orecchio il responsabile di quella sede sanitaria. Qualcuno deve pur pagare, se a minacciare la salute non è solo la malattia, ma anche l’incapacità organizzativa.
E allora, cosa si dovrebbe fare? Prendere atto che tutti i sistemi e le trovate per ovviare al non funzionamento della giustizia o non risolvono niente o complicano le cose. Se quelle che devo arginare non sono le condanne, ma il pendere minaccioso delle cause, il sistema più efficace che ho consiste nell’andare velocemente a giudizio, liberare i professionisti dai carichi giudiziari e contestare la lite temeraria nel caso in cui ricorra. Non è che sia una cosa impossibile, anzi renderebbe la vita più facile anche al magistrato: anziché compulsare il fascicolo una volta all’anno, dimenticandone il contenuto, potrebbe aprirlo, coltivarlo e chiuderlo in tempi compatibili con la memoria umana. Il lavoro non cambierebbe, essendo necessari digitalizzazione vera (siamo ancora al doppio cartaceo), Cancellerie conseguenti e carichi personali non concepiti per sprofondare nei rinvii, quando si sarà fatta una certa.
Così come non è ammissibile che ci sia la fila fuori dalla sala operatoria, solo perché mancano gli addetti al passaggio dei ferri al chirurgo, così non lo è la catasta di fascicoli impilati sul tavolo del giudice, solo perché manca il personale. So bene che non è soltanto un problema di organico e tante volte ce ne siamo occupati, ma da quella trappola non esce nessuno con leggine d’apposita e poi fasulla immunità. Vogliamo essere scudati tutti, ma dalla giustizia che genera ingiustizie.
Davide Giacalone, La Ragione 5 agosto 2025