Giustizia

Spioni Telecom e patteggiamenti

Spioni Telecom e patteggiamenti

Mentre il giornalismo postribolare si sente minacciato, nella sua libertà di scandagliare il fin qui sconosciuto mestiere e mondo della prostituzione, convocando una manifestazione cui aderiscono quanti sperano di non passare inosservati, almeno fra i parenti, c’è un altro giornalismo che, per il solo volere raccontare gli affaracci di Telecom Italia, fu intercettato, spiato, pedinato, dossierato e diffamato, senza mai ricevere mezza parola di solidarietà da un ridicolo, inutile e perverso ordine dei giornalisti. Trovandoci, per nostra fortuna, in questo secondo mondo, siamo più interessati al patteggiamento chiesto da Giuliano Tavaroli che all’allettamento della più reclamizzata, e televisionata, mondana della storia.
Tavaroli, uomo di fiducia di Marco Tronchetti Provera, cui personalmente rispondeva e che lo aveva voluto in Telecom dopo averlo voluto in Pirelli, era il capo di una struttura aziendale dedita, più che altro, allo spionaggio. Era un crimine. Possiamo dirlo senza più il condizionale, visto che lo stesso Tavaroli, come già altri prima di lui, lo ammette e chiede di patteggiare. Non commento la scelta dell’imputato. Ogni azione difensiva, tesa anche a limitare i danni, è nel suo diritto. M’interessa la condotta della procura milanese, ed immaginare quel che accadrà. E’ un passaggio delicato, perché la malagiustizia italiana ha riti e tempi tali da potersi trasformare in un’arma di ricatto.
Nel corso delle indagini Tavaroli aveva detto quel che è ovvio: mica mi sono messo a spiare per mio trastullo, avevo ordini e riferivo costantemente ai vertici di Telecom. Per due volte, difatti, il giudice delle indagini preliminari chiese alla procura di precisare nell’interesse di chi quei reati s’erano consumati. Chiedeva il mandante, ed era una domanda abbondantemente retorica. Ma la procura non ha mai risposto, sicché ha proposto il rinvio a giudizio degli spioni, ma non del loro (presunto) mandante. Ora anche Tavaroli patteggia (una pena assai blanda, e staremo a vedere se il giudice dell’udienza preliminare ratificherà questo accordo fra le parti), quindi la storia finisce. A tarallucci e vino. Con una possibile variante.
Non tutti gli imputati patteggiano, perché taluni si proclamano innocenti. Per loro ci sarà il processo. Se il patteggiamento di Tavaroli passerà in giudicato, in quello stesso momento egli sarà solo un testimone, senza il diritto a mentire o a non rispondere. Se, in quel momento, si facesse il processo allora forse, e dico forse, con un decennio di ritardo, cominceremo a sentire qualche cosa di significativo. Se i tempi si allungheranno, invece, quelle stesse verità saranno altrettante minacce. Pericoli incombenti, da cui taluni sentiranno il bisogno di proteggersi. In quel caso, non certo il primo, la malagiustizia sarà il miglior concime del crimine.

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