Giustizia

Striptease giudiziario

Striptease giudiziario

La popolarità di Guido Bertolaso, il fatto che le accuse non ne abbiano provocato l’immediata cancellazione dal consesso civile, ha introdotto una novità, nella barbarie della malagiustizia italiana: nel processo mediatico, con la giuria riunita al bar, la parola spetta anche alla difesa. Un passo in avanti, rispetto a tempi in cui poteva parlare solo l’accusa. Non resta, ora, che avviare l’uso del televoto, che tante soddisfazioni ha dato, in altri ambiti.

Nel mentre l’inciviltà giuridica continua la propria marcia trionfale, le molte allodole del giornalismo italico svolazzano puntando sugli appositi specchietti, compitando pensose articolesse che sono, nella sostanza, veline di procura.

Ribadisco la sensazione già esposta: se gli inquirenti non stanno producendosi in uno striptease giudiziario, sicché il colpo di scena arriva alla fine, in sala la tensione si smoscerà presto, perché dietro le piume dell’allusione non c’è nulla di memorabile. E sarà un disastro, non perché a me piaccia la corrida giustizialista, che aborro, ma perché passeranno in cavalleria i guasti del sistema, dopo settimane passate in onanistiche discussioni sulla moralità collettiva e la più pertinente curiosità circa i massaggi. Lascio le supposizioni ai mestatori per vocazione, professione e profitto. Metto in fila qualche fatto.

1. Lo scontro fra procure è già cominciato, com’è tradizione. Firenze indaga, Roma vuol essere informata, Perugia è competente per i magistrati della capitale. Ciascuno tenta di attirare a sé la gestione della ciccia, consistente nel mettere le mani sulla politica e sui colleghi. La prima testa rotolata via è quella di Achille Toro. Mica uno da poco: delegato ai reati della pubblica amministrazione e candidato a guidare la procura capitolina. Dice l’attuale capo: certo che gli parlavo delle indagini, perché non avrei dovuto fidarmene? Perché all’epoca della scalata Bnl lo stesso Toro fu sospettato di passare informazioni riservate. Fu prosciolto, ma rimetterlo all’incrocio fra soldi e politica non è stata un’idea saggia. Ora s’è dimesso dalla magistratura, in modo da evitare il procedimento disciplinare. Spero che sia, anche questa volta, innocente. Resta da stabilire se, in quel caso, lo sia averlo riaccusato.

2. Il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, lamenta che i colleghi di Firenze non avrebbero rispettato le regole relative alla competenza territoriale. Già la cosa è grave, perché l’idea che le leggi non siano rispettate in procura è imbarazzante (ma niente affatto nuova, perché attorno alla “competenza” si sono agitati scontri eclatanti, in passato). Ma la cosa cui a Roma non possono sfuggire è la seguente: se i fiorentini avessero passato carte, relative ad indagini su reati ai danni della pubblica amministrazione, queste sarebbero finite a Toro, che loro, però, stavano indagando. C’è del marcio in procura, insomma, restando da stabilire in quale.

3. Le indagini fiorentine vanno avanti, a quel che sembra, dall’aprile 2008. In un lasso di tempo così vasto le intercettazioni telefoniche “a strascico” possono non solo coinvolgere chiunque, ma riguardare ogni cosa, comprese le divagazioni sessuali. Qui si nasconde una colossale ipocrisia: con la digitalizzazione delle comunicazioni tutto è archiviabile, senza che ci sia bisogno di mettere al lavoro gli uomini con le cuffie. La legge che regola le intercettazioni non può, naturalmente, amputare un così efficace strumento d’indagine, ma neanche può far credere che tutto ruoti attorno al timbro formale del giudice dell’indagine preliminare, perché c’è un limite al prendersi in giro. Siccome la mafia può permettersi di funzionare con i pizzini, ma il mondo normale parla al telefono, dovrebbe semplicemente essere proibito utilizzare, quindi depositare e pubblicare, conversazioni senza senso compiuto, colme di puntini di sospensione, ove il soggetto che più allude è proprio chi indaga. E dovrebbe essere proibito utilizzare e depositare conversazioni che hanno a che vedere con condotte private, ivi comprese le risate notturne. A meno che non ci siano altri elementi di prova che dimostrano l’evidente significato di quelle frasi smozzicate. La supposizione e il sospetto non bastano.

4. Le misure cautelari servono a preservare la genuinità della prova. Ma la tempestività di quelle misure è servita a stoppare la corsa di Bertolaso e un provvedimento del governo (che a me non piaceva, quindi non scrivo per difenderlo). La sconnessione temporale fra le misure cautelari ed il processo, fra il mostrarsi dell’indizio e il formarsi della prova, genera mostri. Che potete comodamente osservare nel mentre scorazzano sulla pubblica scena.

5. Il tema di fondo, ineludibile, è quello degli appalti pubblici. Non funzionano, mentre la protezione civile ha funzionato perché poteva aggirare quelle regole. Se la morale finale di questa storia fosse la cancellazione della deroga non solo sarebbe un danno, ma consegnerebbe il governo reale delle cose d’Italia nelle mani di chi popola il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Soggetti di cui ha già parlato il presidente della seconda Corte, da me ripreso nei giorni scorsi. Questa non è una china pericolosa, è una china suicida.

6. Per evitare che la deroga conduca al peggio occorre riscrivere le regole degli appalti, e far funzionare la giustizia. Non è solo una questione di leggi, ma anche di pratiche amministrative e giudiziarie, che oggi si svolgono in una così pesta opacità da tenere lontani dal mercato italiano i grandi operatori internazionali delle infrastrutture. Se questa storia porterà ad una maggiore presenza del mercato, quindi della trasparenza e della concorrenza, nelle opere pubbliche, sarà una fortunata dimostrazione dell’eterogenesi dei fini. Se, invece, porterà alla pretesa di più controlli, generando più controllori, sarà un caso di masochismo nazionale, destinato a rafforzare il genetico intrallazzonismo del suo generone, imprenditoriale e politico.

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