Giustizia

Stupefacenti Casamonica

Stupefacenti Casamonica

Prima che il condono tombale dell’oblio ponga la lapide sui funerali romani, vorrei solo chiedere se esiste ancora l’obbligatorietà dell’azione penale. Mi chiedo come sia possibile che, da due giorni, il nome di un vasto casato sia associato a reati vari e tutti gravi, addirittura assumendo che abbiano il dominio del mercato della droga, nella capitale, come sia possibile che i giornali pubblichino, addirittura, le cartine di Roma, suddividendone le zone a seconda che rientrino fra gli affari criminali di questa o quella famiglia, di questo o quel ramo familiare, manco si trattasse di guide gastronomiche, e il tutto avvenga in un colorito e macabro discettare circa un funerale. Delle due l’una: o stiamo assistendo a una gigantesca diffamazione, oppure a essere inumato è il corpo morto della giustizia.

Non vorrei che la faccenda sia liquidata come affare di costume, o, meglio: in costume. Perché fra musiche del Padrino e di 2001 Odissea nello spazio, carrozza di Totò e petali pioventi, mancano solo i figuranti in sandaloni, riproducenti centurioni con l’orologio (sul set lo rubavano), e sembra essere a una rassegna cinematografica. E non vorrei che le foto degli appartamenti privati, arredati con una particolare attenzione a che l’occhio non abbia un solo attimo di riposo, le terga non poggino mai se non su plurimi strati di velluto e un solo centimetro quadrato non sia occupato da chincaglieria varia, servissero solo a far vedere quanto son pacchiani certuni. Perché, in fin dei conti, la casa l’arredi come ti pare, tanto ci vivi tu, e ai funerali ciascuno suona quel che gli pare. Trascuro il lato religioso, perché forte dell’impressione che lasciano le parole di Galatino quando s’atteggia a tribuno non vedo perché dovrei provare a fare il parroco. Ma tutto questo, scusate, è irrilevante.

Non lo è il nocciolo giudiziario, sul cui rilievo dovrebbe inciampare la coscienza collettiva. Ricordo che a Totò Cuffaro, la cui condotta di detenuto è irreprensibile, fu impedito di arrivare ai funerali del padre. Tenemmo per noi il giudizio, perché non commentabile il dolore personale e non sindacabile la decisione giudiziaria. Tanti altri detenuti, come Cuffaro, hanno subito, subiscono e subiranno quella privazione. Son detenuti, del resto, non ospiti di un pio rifugio. I detenuti del casato Casamonica, invece, avevano il permesso ed erano presenti. Per carità, anche in questo caso non si entra nel dolore. Ma nella procedura sì, perché, scusate, se è vera non la metà, ma il dieci per cento di quel che s’è letto in questi giorni (non lo so, non sono del ramo), che ci facevano agli arresti domiciliari? Perché se l’associazione criminale è una famiglia concedere gli arresti a casa è come far scontare la pena o prevenire i più gravi reati assegnando il detenuto alle cure della banda. Vabbè che la magistratura è indipendente, ma credo sia lecito interrogarsi su come maturino certe decisioni.

E, del resto, suppongo i Casamonica stiano pressantemente chiedendo ai loro avvocati di presentare denunce per calunnia e diffamazione, rivolte alla totalità del sistema dell’informazione. Non basta che rimbrottino gli interlocutori, è bene attivino questo loro diritto. Che lo facciano o no, e specie in questa seconda e più probabile ipotesi, la domanda rivolta alla procura della Repubblica è: sì, sappiamo che ci sono delle indagini in corso, e sappiamo anche che qualche esponente della famiglia ha avuto guai con la giustizia, ma perché una simile organizzazione criminale, che si dice essere attiva da lustri, non è stata già processata e condannata, talché le musiche del Padrino possano comodamente gustarle durante l’odissea dal carcere?

Si lancino pure tutte le possibile accuse verso ministri e prefetti che aspettano la relazione, o all’indirizzo di una municipalità che era presente, ma per accompagnare e condolere. S’indirizzino tutti i possibili vituperi verso la classe politica. Tanto li merita. Ma in tanti uffici della procura non c’era una toga tignosa e coraggiosa, di quelle che non si fermano davanti a nulla? Nel tribunale non c’era qualche giudice che, esaminate le carte e a esito di un giusto processo, giudicasse effettivamente rilevante l’organizzarsi in associazione per commerciare droga, comminando pene non esemplari, ma più banalmente eque?

Il problema non è mica il morto e il modo, vivace, in cui lo hanno accompagnato alla fossa. Il problema sono i vivi. Sia quelli che delinquono e sono liberi, sia quelli che non delinquono e restano prigionieri in un mondo bislacco, pronto a considerare condanna un avviso di garanzia, ma disposto a far vivere nella garanzia senza avviso chi delinque alla grande e commercia in droga. Un mondo, non a caso, stupefacente.

Pubblicato da Libero

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