Giustizia

Suicidi per difesa

Suicidi per difesa

Non farò, come si dice, i nomi. Anche perché intendo parlare di persone che si sono suicidate. La loro, in ogni caso, è una scelta estrema, che non ammette replica. E’ financo ozioso chiedersi il perché, dato che nessuno potrà dare una risposta soddisfacente.

Il suicidio è l’ultimo messaggio. E’ interessante, allora, vedere come questo messaggio viene letto. Ed è raccapricciante vedere come taluno ha la capacità di strumentalizzarlo. Anche per i morti, infatti, si stila la lista dei buoni e dei cattivi.

Qualche tempo fa si tolse la vita un imprenditore, e sostenne di farlo come estremo gesto di estraneità ad un mondo che rimaneva corrotto. In passato, quella persona, non si era recata presso i carabinieri a denunciare qualcuno, non aveva constatato l’inutilità della giustizia, e, del resto, morendo non aveva lasciato l’estrema denuncia di una malefatta. Niente di tutto questo, semplicemente non ritenne di potere continuare a vivere in un mondo in cui si sentiva diverso. Anche questo gesto, come tutti gli altri simili, non ammette repliche.

Eppure, il sistema dell’informazione non ebbe dubbi ed esitazioni : si trattava di una vittima della corruzione. Non ebbe dubbi chi, da estraneo, partecipò a quei funerali, e non certo in forma riservata.

Altre persone si sono tolte la vita, ancora in questi giorni. Si è detto e scritto che abbiano pesato le indagini che su di loro erano aperte, il disonore legato alla diffusione di informazioni che, invece, sarebbe stato bene rimanessero riservate. Qualcuno, con supremo cinismo, ha anche scritto che a muovere il suicidio sarebbe stato il senso di colpa. Tutto questo desta in noi solo un certo disgusto.

Sia chiaro, allora, che non riteniamo, se non in certi casi, che la responsabilità di questi atti estremi possa farsi ricadere su questo o quel magistrato. Certo, tutti non dimenticheremo mai chi si è ucciso in cella, prigioniero fisicamente di quelle mura, e prigioniero moralmente di un magistrato che, in quel momento, anziché indagare, ciabattava in vacanza. Ma ciò chiarisce (anche se non spiega, un suicidio non si spiega mai) quel caso, non tanti altri. Riteniamo, però, che una responsabilità enorme debba farsi ricadere sul modo feroce e cieco in cui funziona la giustizia italiana.

Non sono le accuse a far vacillare la voglia di continuare a vivere. Le accuse, fondate o non fondate che siano, sono cose materiali dalle quali ci si può difendere, contro le quali è (teoricamente) inviolabile diritto lottare. Ciò che uccide è proprio la violazione di questo diritto.

Il dramma diviene totale quando un corpo dello Stato, con tutta la sua devastante potenza, si muove ad accusare, e quando un coro mortifero, cieco ed asservito di giornalisti ripete le accuse, ma mai viene offerta la giusta sede ove far valere le proprie ragioni, ove dispiegare la propria difesa. Il ricatto insopportabile è proprio quello di non potersi difendere secondo giustizia, ma di essere obbligati ad accettare la ingiusta ed irregolare guerra per bande, quella per cui il pm non è un accusatore processuale, ma una persona cui contrapporsi sul piano personale. C’è chi a questa inciviltà, così tanto di moda, non si piega. E viene spezzato.

Accetta di spezzarsi perché sente che questo è l’unico modo per gridare il proprio dolore, e, al tempo stesso, per sottrarre alla ferocia dell’accusa di piazza i propri familiari. La signora moglie di un uomo che si è recentemente tolta la vita ha detto : “lo ha fatto per noi”. E’ vero, sì, la signora ha ragione. Rimane il fatto che è di schifo quel paese che spinge al suicidio chi vuol difendere i propri cari.

Quanto tempo ancora impiegheranno, certe anime candidamente putrescenti, a rendersi conto di essere complici di omicidi?

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