Giustizia

Trinacria dannazione

Trinacria dannazione

Salvatore Cuffaro è un cittadino condannato, in via definitiva, sicché è giusto che sconti la pena. Non ha avuto e non avrebbe dovuto avere trattamenti di favore. Ma sarei un ipocrita se non scrivessi che ho l’impressione di un trattamento di sfavore. Non solo per la visita alla madre, di cui si parla in questi giorni. La domanda è: perché Cuffaro è trattato così? La risposta è d’interesse generale.

Sarà scarcerato il 5 dicembre del 2015. Quel giorno avrà terminato di scontare la pena, lunga sette anni. Fu condannato per favoreggiamento aggravato, della mafia. Da quando entrò in carcere, essendosi consegnato, da parlamentare, è uscito due volte: la prima per rendere visita al padre, morente; la seconda per i suoi funerali (cui lo fecero arrivare in ritardo). Una delle due volte fu lasciato andare senza scorta, fidandosi del fatto che sarebbe tornato in galera. Fiducia ben riposta, perché così fece. Le relazioni sulla sua vita da detenuto, del resto, sono tutte univocamente positive. A quel detenuto, però, non si applicano i benefici di cui godono gli altri, nelle sue o in più gravi condizioni. Perché?

La legge dice che i benefici non devono applicarsi ai detenuti per mafia, a meno che non collaborino. Cuffaro è condannato non in quanto mafioso, ma favoreggiatore. Pur assimilando tale posizione, come potrebbe collaborare, essendosi sempre dichiarato innocente? Potrebbe farlo dicendo il nome di chi gli fornì le informazioni sulle indagini, che lui poi girò a un mafioso. Corretto. Ma quella stessa informazione è considerata inesigibile (perché oramai priva di valore processuale) per un suo coimputato, per giunta considerato colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Perché quel che vale per l’uno non vale per l’altro?

Inoltre, se a Cuffaro si applicassero gli sconti previsti da un decreto legge, oggi sarebbe fuori. Quel decreto non prevedeva l’esclusione dei mafiosi, infatti molti per quello condannati ne hanno usufruito. Ma nella conversione è stato inserito l’impedimento. Ebbene, per il detenuto Cuffaro si è applicata la conversione, per altri il dettato vigente fin dal primo momento (essendo un decreto legge). Perché? Infine: essendo già stato a trovare il padre, ed essendo tornato, perché mai impedirgli di vedere la madre? Dice il giudice di sorveglianza: tanto la povera donna non ci sta di testa. Ma il figlio sì. I fratelli sì. E la stessa madre, secondo loro, non è priva di consapevolezza. Allora, perché?

Accumulate le domande, fornisco due risposte. La prima è burocratico-procedurale: compiere scelte che sembrino benevole per quel detenuto, sebbene legittime e fondate, espone a critiche e attacchi altrimenti impossibili per altri detenuti. Amplificate dall’attenzione dei media e da qualche non celabile applauso al passaggio. Giratela come vi pare, ma questo fa venire meno l’uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. La seconda è politica, quindi non riferibile al giudice che segue l’esecuzione della pena: c’è tanta sensibilità pubblica, sul caso Cuffaro, perché si ha la sensazione che l’interdizione perpetua dai pubblici uffici non basti ad arginare la possibile mareggiata di consenso. Un politico che riconosce la supremazia della legge e l’inevitabilità della pena, pur professandosi non colpevole, i cui successori, in Sicilia, hanno fatto di tutto per cercare di farlo apparire come un gigante. Un protagonista della politica clientelare e spendacciona, seguito da emuli peggiori, più clientelari e spendaccioni. Questo crea una miscela esplosiva.

Miscela che non rende innocente Cuffaro, né consente di supporlo redentore di non si sa quale patria. Resta un condannato, quindi un colpevole. Ma il puteolente vuoto che lo ha seguito contribuisce ad accrescere l’ipersensibilità per ogni cosa che lo riguardi. Così si preferisce allontanare il giorno in cui metterà piede in una via o in una piazza. Il Natale successivo al prossimo, però, Cuffaro sarà a casa, con una complicazione: di lui molti si ricorderanno, mentre troppi non riusciranno a dimenticarsi di altri, che vennero dopo. E non è siculo pirandellismo, ma trinacria dannazione.

Pubblicato da Libero

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