Giustizia

Una sentenza troppo politica

Una sentenza troppo politica

Rimango della convinzione che non esistevano e non esistono le condizioni per potere condannare i due imputati, Scattone e Ferraro, per l’omicidio di Marta Russo. Rimango della convinzione che le modalità d’indagine furono scandalose, ed indegne di un sistema di diritto.

Ma, oggi, occorre prendere atto della parola definitiva, scritta dalla Cassazione: sono colpevoli.
Le sentenze si rispettano, nel senso che si applicano, ma non per questo si deve necessariamente credere nella loro giustezza. Nei cinema italiani è attualmente in programmazione “Il fuggiasco”, che racconta la storia di Massimo Carlotto. Andate a vederlo: anche lì la colpevolezza giunse ad essere definitiva, come definitiva è l’infamia di quelle sentenze.
Scattone non ha opposto nessuna resistenza, è, oggi, in carcere. Comportamento esemplare, degno di un uomo e di un cultore del diritto.
Le stesse parole d’ammirazione non riesco a scriverle nei confronti della Corte di Cassazione. E non perché abbia dato torto alle mie sensazioni, che non valgono niente, bensì perché non sfuggo ad un’altra sensazione: che i giudici si siano comportati in modo assai politico, salvando gli imputati dalla lunga detenzione che meriterebbero qualora fossero colpevoli, e salvando i colleghi da quel biasimo che su loro si abbatté al momento della prima pronuncia della Cassazione. In quel caso i supremi giudici ebbero parole di fuoco contro le modalità d’indagine e contro perizie incredibili. Essendo difficile cambiare il passato, adesso avranno valutato in modo diverso il presente.
Dunque, i due hanno ammazzato quella ragazza, ma hanno in gran parte estinto la pena con la carcerazione inflittagli durante le indagini. Questa sarebbe giustizia? Questo dovrebbe dar pace alla memoria dell’assassinata? Ma se di questo non piangi, dimmi, di che pianger suoli?

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