E’ il trionfo del vaniloquio. L’apoteosi dell’allarme accorato, che si diffonde in un edificio da tempo abbandonato. E’ colpa del calendario: trascorso l’anno tocca inaugurare quello nuovo, facendo finta che ci sia qualche cosa di nuovo da dire, in tema di giustizia. Una cerimonia così mesta che neanche induce a rimestare nel torbido, perché tutto è scontato, compresi gli odierni titoli dei giornali. Sicché, quest’anno, è stato il presidente della Corte d’appello di Milano, Giovanni Canzio, a tentare di rallegrare i sonnolenti ascoltatori, mettendo alla prova la loro concentrazione: dopo avere detto (l’ovvio) che 130 mila processi annualmente in prescrizione sono già l’icona di una giustizia da tumulazione, ha aggiunto che “l’Italia ha il triste primato, in Europa, del maggior numero di declaratorie di estinzione del reato per prescrizione e paradossalmente del più alto numero di condanne della Corte europea dei Diritti dell’Uomo per la irragionevole durata dei processi”. Nessuno gli ha fatto osservare che quel “paradossalmente” è insensato. Segno che nessuno ascoltava. E’ ovvio che si tratta dello stesso problema: i tempi della (in)giustizia italiana sono così lunghi che quando il processo non muore nei tribunali italiani porta l’Italia a essere condannata. Senza che vi sia il benché minimo paradosso. Anzi no, uno c’è: per tale colpa non pagano mai i magistrati, ma solo i cittadini contribuenti.
Stabilito che i partecipanti al rito sonnecchiavano, come fanno da molti anni, l’accostamento fatto da Canzio è utile. In alcuni programmi elettorali, difatti, e segnatamente in quelli del Partito democratico e dell’Ingroia civilmente la rivoluzione, si crede di risolvere la questione allungano i tempi della prescrizione. “Va bloccata non appena parte il processo”, dice il Pd. “S’interrompa quando inizia il processo”, dice rivoluziona civilmente Ingroia. La stessa cosa. Accordo già fatto. Se vincono le elezioni l’Italia sarà massacrata a Strasburgo, perché le condanne ci piombano addosso, a mazzi, a causa dei processi incivilmente e disumanamente lunghi, e questi signori s’industriano a pensare su come si possa allungarli ulteriormente. Lasciamo perdere che la prescrizione è diritto che esiste fin dall’antica Roma, tralasciamo che anziché correggere la malagiustizia pensano a come diminuire i diritti, che se non fossero provatamente comunisti si supporrebbe siano fascisti, ma l’esito del giochetto sarà l’espulsione dell’Italia da Consiglio d’Europa.
Il presidente della Corte d’appello di Genova, Mario Torti, ha voluto bollare di “anomalia” il fatto che taluni colleghi facciano politica, anche con la toga addosso. Il collega di Roma, Giorgio Santacroce, ha detto che candidarsi è un diritto, certo, ma ha ricordato le parole di Piero Calamandrei: quando la politica varca la porta della magistratura la giustizia esce dalla finestra. Pestano l’acqua nel mortaio. La politica non ha varcato la porta, ha direttamente messo le proprie correnti a stabilire chi entra e chi esce. La giustizia non è uscita dalla finestra, s’è buttata di sotto, preferendo una morte rapida a un dileggio strascicato per lustri. Se questi signori pensano abbia un qualche significato pronunciare, una volta l’anno, la frase tonda e lungamente meditata, sono fuori dal mondo. Eppure uno scatto d’orgoglio non guasterebbe, in magistrati seri che studiarono per amministrare giustizia e oggi ne curano il fallimento. Una parola secca sul disfacimento della corporazione e la distruzione delle regole, al punto che la tanto condannata prescrizione è la salvezza del colpevole tanto quanto è la salvezza della procura che allestisce accuse che non è capace di provare, una parola ufficiale su quel che si dicono quotidianamente al bar, disprezzando colleghi e legislatori, sarebbe, almeno, segno di vitalità.
Hanno anche detto, ieri, in varie sedi, che salutano con gioia la nuova legge contro la corruzione, quale strumento atto a bonificare. Sono convinto che non si dimostrerà né più né meno efficace delle leggi che c’erano di già. Ma troverei davvero interessante se si sentisse argomentare, da quegli alti e impellicciati pulpiti, non solo contro l’immonda corruzione giudiziaria, ma anche circa il desiderio di isolare e buttare fuori i colleghi che si vendono, o che utilizzano la posizione per adoprarsi nella concussione. Se non altro qualche palpebra in più tenderebbe a scoprire l’occhio sottostante, consentendogli di farsi vigile e controllare che, per caso, non si sia fatto il nome di chi lo porta nell’orbita.
Pubblicato da Libero