Alla procura di Palermo si sono accorti che, circa la presunta trattativa fra la mafia e lo Stato, occorrerebbe sentire anche Luciano Violante. Sembrerebbe che ai procuratori, attenti segugi e scrupolosi conoscitori delle carte, punga vaghezza che qualcosa non torni, circa la testimonianza da questi resa, nel luglio del 2009. Accipicchia, che prontezza di riflessi: noi lo scrivemmo il giorno appresso. Carta canta, come s’usa dire e come non è il caso di completare. Sono suscettibili e con la querela facile, sicché ti conducono davanti al collega e ti chiedono di pagare (vogliono soldi) per avere detto e scritto cose totalmente ovvie.
Dunque: è vero che Violante scoprì l’urgenza d’informare la procura ad appena diciassette anni dai fatti (ovvero dalla richiesta che gli era giunta, da parte di Vito Ciancimino, d’incontrarsi e parlare), è vero che tale prescia gli venne dopo che quelle storie erano state verbalizzate dal figlio del politico mafioso, a sua volta narratore di fandonie e fortemente interessato a salvare il salvabile dei piccioli ereditati, ma è anche vero, appunto, che noi ce ne accorgemmo subito. Com’è, allora, che alla procura se ne accorgono solo ora? Non è che ci hanno preso gusto a interrogare tutte le istituzioni possibili, anche per evitare che si giunga a sentenza senza che prima la sceneggiatura consenta di metterne in discussione il dispositivo? Magari per potere dire: è solo la prima puntata, vedrete poi? Tanto, il poi arriva fra anni e anni.
Alla procura dicono di essersene accorti dopo avere ascoltato la testimonianza resa, non proprio spontaneamente, da Giorgio Napolitano. Su quella non intendo scrivere nulla: dal Colle hanno chiesto che le trascrizioni vengano fatte al più presto, in modo che ci si possa attenere ai fatti e non alle leggende. Richiesta non solo legittima, ma seria. Non vedo proprio perché la si debba ignorare. Piuttosto, osservo che i primi a infischiarsene sono stati proprio quelli della procura palermitana, che non avevano ancora varcato, in uscita, il portone del Quirinale e già annunciavano che il presidente aveva confermato le loro tesi e corroborato la tesi accusatoria. Fossero stati gli avvocati difensori avrei suggerito una segnalazione al consiglio dell’ordine. Siccome sono funzionari dello Stato e la loro condotta è amministrata dal Consiglio superiore della magistratura, presieduto da Napolitano, suggerisco al nuovo vice presidente, Giovanni Legnini, di non lasciare la presidenza in imbarazzo e disporre autonomamente un sereno, ma adeguato esame di quanto accaduto.
Potremmo cominciare con lo svolgere qualche considerazione circa le indiscrezioni che sono trapelate, dato che avvalorano l’impressione che qualche sassolino sia stato tolto, dalle presidenziali calzature. Ma non cado in tentazione. Disapprovando il metodo delle anticipazioni sarei poi costretto a disapprovare me stesso. E sono cose che non mi riescono bene. Siccome, queste di mafia e di politica, sono storie complicate, e siccome le abbiamo già ricostruite e raccontate, per quel che ci è possibile, presentando ragionamenti e conclusioni opposti a quelli maggiormente in voga, senza, fin qui, essere smentiti, do appuntamento ai lettori a quando avremo quelle carte. Sono passati decenni, si può pazientare qualche giorno ancora. Non sarà giornalistico, ma è saggio.
Nessuno creda, comunque, che la testimonianza del presidente della Repubblica sia stata inutile, come temo che processualmente si rivelerà, e come egli stesso ha più volte ribadito, perché, invece, è stata utile a diffondere, in mondovisione, le immagini di una corte di mafia che va a interrogare il primo cittadino di questo disgraziato Paese. Dopo, del resto, avere messo sul banco degli imputati, quasi tutti i Carabinieri che avevano lavorato alle più serie indagini e azioni di contrasto alla mafia. Dopo avere trascinato in giudizio i più stretti collaboratori di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Dopo avere, preventivamente, provveduto a silurare i due citati magistrati, colpendoli nella carriera e negli incarichi prima che la mafia li colpisse nella vita. Sicché ci vorrà tempo, pazienza e memoria per cercare di raccontare la nostra storia, senza lasciarla ai più giovani come una storia di soli criminali e corrotti. Certo, aiuta che quei servitori dello Stato abbiano vinto i processi. Ma, come forse non vi sarà sfuggito, non sono affatto finiti.
Pubblicato da Libero