Giustizia

Visco indagato e non dimissionario

Visco indagato e non dimissionario

Vincenzo Visco ha ricevuto un avviso di garanzia, nel presupposto che abbia commesso gravi reati relativi a quanto da lui richiesto alla Guardia di Finanza. S’è recato in procura, accompagnato dal legale di fiducia, ed ha subito un lungo interrogatorio. All’uscita deve fare i conti con l’opposizione di centro destra

che reclama le sue dimissioni. Le vuole perché è indagato. Non condivido affatto questa richiesta. Ricordo che Silvio Berlusconi ricevette un avviso di garanzia da presidente del consiglio e furono reclamate le sue dimissioni, che giustamente non diede.
Mi sono anche stufato di ripetere cos’è un avviso di garanzia e che (articolo 27 della Costituzione) la presunzione d’innocenza è uno dei pilastri dello Stato di diritto. Tocca a Visco stabilire in quale condizione ritiene di potersi difendere meglio, e tocca a Prodi stabilire se quell’inchiesta, dati i suoi contenuti, è eventualmente incompatibile con la permanenza al governo. E’, invece, un errore grossolano che le parti politiche si scambino a turno i ruoli di garantisti e forcaioli, a seconda di chi finisce nel mirino delle procure. Ed è pericolosissimo che si consegni (ieri come oggi, e come domani) alle procure il potere di stabilire chi può governare e chi no.
Sono non solo contrario alle dimissioni di Visco, in quanto indagato, ma pronto fin da subito a difendere, nel suo caso come in ogni altro, i cardini del diritto.
Detto questo, spero in modo chiaro, credo che Visco debba dimettersi e sparire dalla scena politica. Egli porta la gravissima responsabilità di avere a lungo militato fra i ranghi dell’inciviltà giuridica, di avere avallato campagne di delegittimazione istituzionale che miravano a sostenere che ogni indagato avrebbe sempre e comunque dovuto dimettersi e vergognarsi. Egli era nell’errore ieri, e lo è oggi se pensa di potere arrogantemente restare al suo posto, contraddicendo se stesso, senza neanche chiedere scusa per le idee illiberali e fascistoidi cui prestò la propria attiva o passiva collaborazione.
La politica non è l’arena dell’immoralità, ma chiede ai protagonisti che vogliano essere rispettati coerenza e fermezza d’idee. E, a tal proposito, ho letto che secondo Antonio Di Pietro, ministro, una volta ci si doveva dimettere, mentre adesso “i tempi sono cambiati”. Il codice no, e neanche la Costituzione. Forse è cambiata la sua posizione, mentre azzardo che lui, personalmente, non è mai cambiato. Purtroppo.

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