Idee e memoria

A Bologna la strage continua

Potremmo fissare al 2 agosto la ricorrenza nazionale della guerra civile, con annessi festeggiamenti dell’ottusità e della faziosità. Ogni anno, quel giorno, si corrompe la storia e si ripete lo stanco rito dello scontro fra fantocci, che s’immaginano protagonisti e sono, invece, comparse secondarie. L’anno prossimo saranno trent’anni, da quando una bomba fece strage di vite innocenti, mietendo 85 morti alla stazione di Bologna. Da allora ad oggi non s’è fatto un solo passo in avanti.

La vicenda giudiziaria è chiusa, condannando all’ergastolo i fascisti che posizionarono la bomba. Ma la sentenza non regge. Somiglia ad un atto notarile, che assevera la pista nera, fin da subito indicata come l’unica politicamente digeribile. Con una doppia ingiustizia: i condannati sono colpevoli di altri, gravissimi, reati, ma non di questo; in compenso sono liberi, dopo avere scontato una pena che, all’evidenza, non è quel che nel vocabolario si chiama ergastolo. E dato che la sentenza è sbilenca, al punto da mancare del movente, la mitologia vuole che la strage sia fascista ed i mandanti occulti, vale a dire annidati nello Stato e nei servizi segreti, manco a dirlo “deviati”.
Così, ogni anno, si monta il palco e si da fiato alla retorica del quasi nulla, ma sempre inscenando la commedia della guerra civile: un presunto popolo che invoca giustizia contro i fascisti, e presunte autorità che dovrebbero sentirsi in colpa perché ancora coprono l’orrenda trama che costò tante vite. Le autorità sono presunte, e fasulle, perché se fossero realmente tali riuscirebbero a capire che trenta anni dopo, se si vuol fare qualche cosa di utile, non si aspetta il 2 di agosto, ma si aprono gli archivi. Se, come penso, non si possono aprire, giacché quello fu uno degli episodi che stanno dentro la storia della guerra fredda, ed anche del doppiogiochismo italico, ugualmente non si aspetta il 2 agosto, si parla prima e dopo, ma si tace il giorno della commemorazione.
Anche il popolo, però, non scherza, in quanto a passione per la realtà taroccata. Oggi tengono banco le proteste per il ritorno in libertà dei condannati, ma che senso ha pensare che la memoria dei morti sia maggiormente rispettata se in galera rimangono quelli che non c’entrano ed a spasso restano quelli che li hanno ammazzati? Non solo i parenti delle vittime, ma la società civile tutta dovrebbe reclamare un verdetto che somigli un po’ di più alla verità, non incaponirsi a ritenere sacra una falsità. Certo, è giusto pure reclamare la certezza della pena, ma, anche qui, vale la pena osservare che ai due assassini fascisti è stato riservato un trattamento rigoroso sconosciuto nel caso di altri appartenenti a bande armate, che “pentendosi” hanno ripreso in fretta la vita da liberi. E sconosciuto ad altri carnefici, spesso protagonisti di storie brutali.
Fioravanti e Mambro se la sono meritata tutta, la galera che hanno fatto, ma la loro condotta processuale è stata lineare, il loro racconto non s’è deviato per cercare benefici. Le loro parole sono state convincenti, mentre è la coscienza collettiva a mostrarsi reticente. Maniacalmente appiccicata a verità di comodo.
Siccome la commedia si ripete sempre uguale, sorge il dubbio che i protagonisti ne godano, riaffermando ciascuno la propria identità. E’ doveroso, quindi, avvertire che tanto chi sale sul palco per non dire niente, quanto chi fischia senza avere niente in testa, compartecipano dell’insulto alla memoria. Sia quella collettiva, storica, che quella dei morti.

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