L’Italia istituzionale procede al ritmo di Lucio Battisti: guidare come un pazzo nella notte a fari spenti. Per vedere l’effetto che fa. Brutto, e senza emozioni. Ci siamo ridotti in questo modo perché sono venuti al pettine i nodi accumulati nel tempo, quelli di una storia bugiarda e quelli dell’economia assistita. Chi crede che tutto si risolva seppellendo il presidente del Consiglio sotto le inchieste, e chi crede, all’opposto, che si debbano seppellire le inchieste sotto al presidente del Consiglio, sa solo strappare i capelli dal cranio già alopecico di un Paese ricco, ma sbandato. I nodi, per scioglierli, si deve conoscerli.
Abbiamo commentato i dati della Guardia di Finanza, sull’evasione fiscale, e sono la dimostrazione che il potere statale può perseguire a piacimento i cittadini, non necessariamente quelli che non pagano il dovuto. L’esecutività delle contestazioni e la non compensazione in capo a chi ricorre sono gli strumenti della tortura fiscale. Piaccia o no, questa non è roba della sinistra draculesca, ma della destra che non sfugge alla necessità perpetua: fare cassa. Sono convinto, sfidando i puristi della contabilità, che allo stesso modo si comportano i comuni che multano per rimpinguare le casse, sicché si dovrebbe sommare quei proventi al gettito fiscale, la cui percentuale sul reddito supera largamente il tollerabile. Poi abbiamo commentato i dati della recessione, osservando che il reddito disponibile è sceso meno del prodotto interno, segno che gli ammortizzatori funzionano, ma creano ingiustizie. Penalizzano i giovani, per dirne una. Ed abbiamo sottolineato che la recessione ha colpito i redditi da lavoro e capitale, mentre chi campa di spesa pubblica è stato protetto. Il che crea ingiustizie, penalizzando chi mantiene gli altri. Per uscire da queste tagliole è necessario mettere mano alla natura genetica della spesa pubblica, restituendo al mercato molte funzioni e mettendo sul mercato molti valori, come è necessario cambiare la natura del sistema fiscale, assecondando produttività e merito con la politica economica. Chi lo fa?
Il governo in carica ha avuto un sussulto di vitalità. Sono tornate in auge le due aliquote e la riforma dell’articolo 41 della Costituzione. Cose giuste. Ma anche credibili? Meno. Il tempo trascorso dalle ultime elezioni non è poco, i trambusti parecchi, i risultati effettivi inferiori al necessario. Gli attaccabrighe delle opposte tifoserie se ne rinfacciano la responsabilità: non siete stati capaci, dicono gli uni, c’è stato impedito, rispondono gli altri. Oziosa diatriba, perché il tema è semplicissimo: nel nostro sistema il governo non governa e le maggioranze non legiferano, perché il governo è istituzionalmente anemico e le maggioranze sono incollature elettorali di pezzi diversi. Come se ne esce?
Abbiamo bisogno di una legislatura costituente. Non guasterebbe un’assemblea costituente. Ma ce ne manca la forza, perché le bugie della storia ci cascano addosso. Non è affatto vero che la classe politica del dopoguerra sia stata popolata solo da giganti del pensiero e della morale, ma è vero che tutti (o quasi) avevano il bisogno d’incarnarsi nell’Italia che negava d’essere stata fascista, in modo da non morire sotto le macerie della sconfitta militare. In quella classe politica ci furono gruppi intenti a continuare la guerra civile, al soldo di potenze straniere, ma nessuno cui convenisse violare la bugia fondatrice, quella della nuova e diversa Italia. La classe politica attuale, invece, è figlia ripudiata di madre violentata, non ha una comune convenienza istituzionale e, a dispetto del diverso quadro internazionale, continua la guerra civile cercando di cancellare l’avversario. E’ lì la causa dell’incapacità, del nostro sobbollire nell’immobilismo, dell’assenza d’alternative. Da lì si deve ripartire, se non vogliamo che la nostra sia l’Italia dei mediocri minuscoli, dotati di gigantesca capacità distruttiva.
I miliziani della politica urlante diranno che sto divagando. A me pare che non alzare la testa, non guardare oltre, grufolare nel trogolo delle carte di procura, continuare la guerra che cerca le armi nemiche nelle intimità di una giornalista, sia un segno di collettiva demenza.