Idee e memoria

Analfabeti e raccomandati

Stiamo allevando un banco d’analfabeti, che nella vita aspirano ad essere raccomandati. Non potendo tutti lanciarli nella vita politica e sindacale, né tutti destinarli all’esposizione mediatica delle carni, vorrà dire che, dopo averli diplomati ed eventualmente laureati, essendo escluso che competano nel mercato globale, li si manterrà con la spesa sociale. Se i giovani avessero coscienza di ciò e rispetto di sé, ce li ritroveremmo tutti in piazza, a reclamare la cacciata di una classe dirigente che li sta affamando, culturalmente ed economicamente. Invece, se ne vedono pochi, a protestare, e per le cose sbagliate.

Come se la loro grande aspirazione sia quella d’essere più ignoranti e raccomandati dei padri.
Secondo il rapporto 2009 della Commissione Europea, dedicato al tema dell’educazione, il 50,9% dei nostri giovani, fra il 15 ed i 18 anni, è incapace di capire quel che legge. Arrivano in fondo alla pagina senza coglierne il significato. Un ritardo mentale indotto da una scuola non selettiva, e coltivato nel vuoto culturale del mondo frequentato. La nostra, vecchia, Tv dei ragazzi trasmetteva “Chissà, chi lo sa”, con Febo Conti, ora si guardano dei guitti che amministrano il gioco dei minorati: quale pacco sceglie? Contano le natiche, non i lobi cerebrali. Si può puntare sull’altra metà, sperando che ai deficienti s’accompagnino i geniali? Nemmeno, perché anche nella fascia dell’eccellenza i nostri bravissimi sono meno della media europea. Ci stiamo suicidando, insomma, ma nel totale disinteresse.
E non basta, perché la stessa Commissione osserva che “l’Italia ha un trend stabilmente negativo, anziché migliorare nelle performances di lettura, i giovani italiani sono in regressione”. Significa che la nostra ricchezza nazionale, finché c’è, alimenterà generazioni di consumatori, ma non è investita nel promuovere i migliori e lanciare nostri protagonisti nel mondo. Siamo ricchi abbastanza da non doverci disperare, ma abbiamo perso l’orgoglio per darci da fare. Non stupisce, a questo punto, quel che emerge dall’ultimo rapporto Censis: quasi l’80% dei giovani, sempre fra i 15 ed i 18 anni, si chiede che senso abbia stare a scuola, mentre il 91,6 è convinto che, per trovare lavoro, sarà utile chi si conosce, non quel che si sa. Conta la raccomandazione, non la preparazione. E non hanno neanche torto, perché così stanno le cose se si uccide la meritocrazia.
Con ciò, il nostro torna ad essere il Paese delle corporazioni, ma non più in senso medioevale, quando servivano per tramandare il sapere, bensì peggiore, destinato a perpetuare la protezione ed il privilegio. Un pessimo segnale l’ho colto vedendo le organizzazioni degli avvocati sbavazzare appresso ad una riforma della professione forense che serve solo a proteggere chi è dentro e fare marameo a chi è fuori. Nonostante i problemi drammatici della giustizia italiana, alla fin fine la pressione lobbistica si scarica su roba come i minimi tariffari ed il patto di quota lite. Sapete cosa significa? Che neanche nelle professioni s’è allevata classe dirigente, solo istinto digerente.
E’ una brutta cosa che si lasci un direttore universitario, Pier Luigi Celli, suggerire al figlio di andare via, supponendo per lui impossibile l’arrampicata, politicamente favorita e coperta, di cui il genitore s’è giovato. Invece di battersi per un’università meritocratica e selettiva, per l’abolizione del valore legale del titolo di studio, per la privatizzazione e gli aiuti ai meritevoli, Celli suggerisce al pargolo di andare altrove. Poi ci ha fatto sapere che, tanto, il figlio rimane. E ti pareva! Ma quando i bravi vanno via il Paese s’impoverisce. S’è messa in cattedra gente incapace di capire l’evidente.
Ed è sintomo di stagnazione fetente il fatto che si possa serenamente proclamare, come, da ultimo, ha fatto la romana Banca di Credito Cooperativo, che se i genitori mollano il posto si è pronti ad assumere i figli. E non solo: anche i nipoti, i fratelli ed i cugini. Accordo valido per due anni. Il posto di lavoro frutto d’un vincolo di sangue. L’ovulazione corporativa che incontra lo spermatozoo della conservazione.
Ma dove sono i giovani pronti a protestare, perché la loro scuola li rende incapaci di leggere e capire? Dove i giovani avvocati decisi a reclamare una professione, e non una rendita (per giunta, da spartire in troppi)? Dove gli universitari che all’estero vogliano mandare i loro direttori e rettori? Dove gli aspiranti bancari che hanno sbagliato a scegliersi i genitori? In piazza vedo solo gente che insegue un incubo ideologico, che coltiva il livore contro il nemico politico, che accarezza il sogno di trovarsi al posto degli altri. Vedo forze che muoiono dalla voglia di distruggere, ma non sanno da che parte cominciare per costruire. Siamo la sesta o la settima potenza economica del mondo, ma inseguiamo più le foie di chi vuol consumare che di chi vuol produrre. Speriamo che ciò non c’impoverisca, ma già c’immiserisce.

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