Idee e memoria

Bruno Visentini

Confesso un certo orrore nel vedere, su “la Repubblica”, la foto di Bruno Visentini fra quelle di Enrico Berlinguer e di Antonio Di Pietro.

Per giunta con l’orribile errore di individuarlo come proponente di un improbabile “governo degli onesti”. Assai diversa era la personalità e la politica di Visentini e, forse, occorrerebbe imparare ad avere maggior rispetto di chi non c’è più.

L’equivoco, se così si può definire tanta superficialità, nasce da una battaglia che Visentini, a suo tempo, fece, e con la quale reclamò il rispetto della Costituzione. Nemmeno è vero, com’egli stesso più volte ripeté, che voleva il “governo dei tecnici”. Ben diverso era il suo pensiero.

Bruno Visentini condivise la politica e l’esperienza del centro sinistra, nel corso del quale non ebbe responsabilità ministeriali, ma altri incarichi pubblici. Condivise anche la politica di solidarietà nazionale, di cui, però, avvertì subito l’insufficienza nell’affrontare la crisi italiana. Cercava un equilibrio politico che consentisse dinamicità ed efficacia all’azione di governo, e non credeva potesse consistere nei governi centristi che successero la fine della solidarietà nazionale (da qui una violenta polemica con Ugo La Malfa, che, tragicamente, coincise con la scomparsa di quest’ultimo, il che costrinse Visentini a tornare al governo). Non credeva nemmeno fosse sufficiente la maggioranza di pentapartito, ed in tal senso non si stancò di incalzare, con il suo puntuto carattere, Giovanni Spadolini.

Il primo governo post solidarietà nazionale che incontrò il consenso e l’entusiasmo di Visentini fu il governo di Bettino Craxi. Non solo ne fu ministro (e chi lo conobbe, anche superficialmente, sa che non era certo sufficiente una poltrona a commuoverlo), ma ne fu strenuo difensore. Non si capisce niente di quel che segue, se non si tiene ferma la realtà dei fatti.

Anche il governo Craxi fu logorato, e Visentini, pubblicamente, riprese e rilanciò una sua riflessione, risalente a molti anni prima, su quella che era diventata una patologica evidenza: l’invadenza dei partiti politici nelle faccende istituzionali. Attenti, non l’invadenza della politica (che Visentini era un politico puro ed esperto), ma dei partiti. Il cencellismo, insomma, la necessità di avere un ministro della cultura bestia perché non si poteva dir di no a questa o quella corrente. Visentini reagì chiedendo il rispetto letterale della Costituzione, secondo la quale il futuro presidente del Consiglio riceve l’incarico dalle mani del presidente della Repubblica, ed a lui porta, poi, la lista dei ministri, senza trattarla con le segreterie dei partiti. Una strada, questa, secondo Visentini, che avrebbe garantito maggiore competenza ed affidabilità alla compagine governativa.

Allora non condivisi questa sua battaglia (ed allora se ne parlava, anche animatamente, nei partiti politici), ma non perché non la ritenessi giusta, bensì perché non riuscivo a cogliere in quale modo si poteva sperare che le macchine politiche si spogliassero del potere acquisito. Insomma, mi sembrava che quella di Visentini fosse più una giusta declamazione di un sano principio, piuttosto che una proposta politica. Ma, comunque, che la si condividesse o meno, è semplicemente infamante che la si accosti al moralismo berlingueriano od al manipulitismo giustizialista.

Bruno Visentini fu un uomo di partito, con tutti i pesi che questo comportava, e fu un uomo di Stato, con tutta la necessaria consapevolezza che questo richiedeva. Accostarlo al pregiudizio ideologico, o all’ipocrisia, quando non al qualunquismo reazionario, è cosa che, davvero, non si può permettere.

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