Idee e memoria

Civiltà e libri, talora sacri

Costretti a guardare nell’abisso, costretti a ragionare di morte e di civiltà, i nostri punti di riferimento vacillano, lasciandoci ciechi a brancolare, incapaci di farci una ragione di ciò che ci appare irragionevole. Capita anche che qualcuno, sperando di non affogare, s’aggrappi a presunti ormeggi che sono, invece, pietre che ci precipitano più a fondo.

Capita con le tesi alla Oriana Fallaci, capita con le insulse citazioni coraniche, capita perché, appunto, la ragione s’annebbia. Ed è la vacillante ragione, invece, l’unico appiglio possibile.

Chi legge il fondo di oggi (venerdì), sul Corriere della Sera, è preso da un senso di smarrimento: non si deve cedere all'”isteria antiislamica”. Giusto, sarebbe una follia, sarebbe come attribuire a qualche centinaia di milioni di persone la sete di sangue che si placa nelle zampillanti fontane mediatiche. Giusto, ma sono mesi che, ogni giorno, lo stesso quotidiano strilla al mondo le tesi di Oriana Fallaci. Espresse con penna sublime, che non mi permetto di definire isterismi (la radice me lo impedisce, come anche il significato), ma che, di certo, sono un proclama antiislamico privo di distinguo, chiamante alle armi i cittadini tutti. Sono mesi che il quotidiano di via Solferino indica quel testo, che l’autrice assume essere osteggiato e bruciato, come il più audace baluardo di una reazione fatta di rabbia ed orgoglio, ma sulla cui effige si leggono i caratteri evidenti di una fobia tanto più pericolosa quanto più giustificata.

E sempre oggi, sullo stesso quotidiano, troviamo scritto che uccidere le due ragazze italiane, sgozzarle col coltellaccio, sarebbe contrario alle regole del Corano. Ma di che stanno parlando? Davvero stiamo abboccando all’idea che si possa condurre una guerra di religione, e, quindi, far valere lo scritto di questo o quel libro sacro? E’ una follia.

Parliamoci chiaro: per tutte e tre le religioni monoteiste la femmina è un essere distinto e diverso (vorrei dirlo in modo politicamente scorretto: inferiore). Vale per l’islam, come per l’ebraismo, come per il cristianesimo. Il ceppo, del resto, è il medesimo. Le femmine non si avvicinano al muro che un tempo perimetrava il tempio di Salomone; le femmine non sono ammesse al sacerdozio cattolico; le femmine non divengono dottoresse dell’islam. Si può declinare la diversità secondo i canoni dell’importanza e della protezione, dell’adorante sacralità del femminino, nei cui scantinati, però, si conserva sempre quella diversità che è ragione d’inferiorità.

Secondo il Corano sarebbe blasfema anche solo l’idea di usare violenza ad una femmina? Raccontatelo alle adultere lapidate, secondo la legge coranica. Del resto, Gesù amò Maria, accolse la prostituta (perché aveva tanto amato), frequentò l’emorragica (che secondo la legge ebraica non poteva mostrarsi ai maschi, né desinare con loro, nel corso di perdite che sono parte stessa dell’essere femmina), ma questo non impedì alla cristianità di mettere al rogo le donne, dalle streghe alla pulzella d’Orléans. Quindi, per carità, si eviti di cercare nel sacro testo il passo che avalli ciò che noi si considera civiltà, e lo si eviti perché è del tutto irrilevante. La storia ci ha già insegnato, con dovizia di truci particolari, che le più inimmaginabili torture possono essere somministrate salmodiando il Vangelo d’amore.

Si lasci perdere, e si scenda su questa terra. Qui noi sappiamo, per nostra esperienza storica, che mai nessun governo di libertà e di giustizia potrà trarre legittimità da un testo che alcuni assumono trascendente. Mai. Qui noi sappiamo che la laicità dello Stato e la ritualizzazione dei fervori religiosi sono la chiave con cui aprire la porta della tolleranza, senza dischiudere la quale non si accede né a giustizia né a libertà. Questa chiave non è un’esclusiva di nessuno. Quando la cristianità dilaniava le carni di eretici e non credenti, quando perseguitava gli ebrei, le terre d’Islam furono approdo di vita (sebbene non di parità). La superiorità della nostra civiltà, oggi, non deriva dalle sue radici religiose (che tragico, ciclopico errore il solo pensarlo), ma dall’averle superate, dall’averle secolarizzate, dall’averle sterilizzate in una laicità pubblica che non cede neanche al dio stato.

Di questo dovremmo parlare oggi? di questo dovremmo parlare in Iraq? Sarebbe come credere che Al Zarqawi sia un tipo cui chiedere una pià accurata lettura del testo maomettano. Ma no, in Iraq si combatte una guerra scatenata contro l’Occidente ed i suoi valori, ed è una guerra che si protrae, che si protrarrà, perché in Iraq investono quanti (fregandosene del Corano, quanto il defensor fidei se ne fregava della chiesa) vogliono piegare le democrazie occidentali ed il loro dominio sui mercati. Il loro desiderio di sterminio dello Stato d’Israele è solo per i gonzi travestito d’antiebraismo, ma ha la forma del dispotismo che non tollera, in quel territorio, la presenza di una splendida democrazia. Questi sono i contorni della faccenda, mica una disputa fra teologi. E dall’Iraq si esce vincenti, o morti.

Le nostre sono democrazie, evviva, ed è quindi possibile che al nostro interno siano rappresentate posizioni che detestano la guerra, che giudicano un errore quella in Iraq, o che, più ragionevolmente, contestano gli errori commessi nel suo corso. E’ bene ed è giusto che sia così. Ma guai a non comprendere i termini della questione, perché nessuna delle parti politiche che si fronteggiano credo sia disposta a cedere la democrazia in cambio di una teocrazia. E solo l’assoluta fermezza sull’indisponibilità della libertà, anche religiosa, potrà offrire una mano a quanti, in terra d’Islam, osservano con terrore l’avanzare di uomini che inneggiano al Corano ma sono senza morale, e, per i credenti, anche senza dio.

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