Idee e memoria

Colpevole d’innocenza

Il non detto, il taciuto, talora l’occultato, il nascosto, il rimosso è assai più di quanto si sa, o si crede di sapere. E sebbene quello sia il nostro più recente passato, sebbene da quei fatti nasce il nostro attuale stato di cose, l’oblio batte il ricordo, la voglia di deglutire ed espellere batte la capacità di digerire. E’ singolare che, a scandagliare quel nostro pezzo di vita, s’invii più di sovente la narrativa, la memorialistica, che non la saggistica. Insomma, nel biennio 1992-1994 annega gran pare della nostra saggezza collettiva, si sommerge la voce della ragione, si asfissia il diritto. In bocca rimane il sapore incompiuto di quel che non si riesce a capire. Ecco perché sarebbe bene leggere il libro di Dina Nerozzi (“Colpevole d’innocenza”, Rubbettino).

Sono pagine dove non si concede nulla alla fantasia, utili a ricordare che per ogni vittima della malagiustizia, del giustizialismo forcaiolo, e, quindi, della negazione del diritto e dei diritti, vi sono poi molte altre vittime “indotte”, fra gli amici, i familiari, fra quanti non hanno smarrito la coscienza. E vi è poi una vittima collettiva, enorme per numero e dimensione del danno, ed è una collettività che apprende da un miliardo di fonti, per miliardi di volte al giorno, notizie che si rivelano frottole, panzane, bugie allo stato puro, ma il cui disvelamento, infine, giunge noto a pochi, rimanendo irrimediabilmente inquinata e corrotta la vita pubblica. Sono pagine che raccontano una storia vera, portando il lettore ad essere, in un sol momento, sia dietro le sbarre del carcere che al tavolo di un parlatorio, ad essere il padre ed il figlio, il marito e la moglie, tutti personaggi di una storia che avrebbe avuto il suo naturale svolgimento, di gioie e dolori, di soddisfazioni e delusioni, di vita e di morte, se la bomba giudiziaria non ne avesse devastato gli infissi, esponendo i bombardati ad un pubblico ed ingiusto giudizio.

Non si capirà nulla dell’Italia nella quale abbiamo vissuto, di quella in cui viviamo, se non ci domanderemo come mai si ricorra agli strumenti della narrativa, come Nerozzi fa, per raccontare la nostra storia. Non si capirà nulla del presente se non si partirà dal tentativo collettivo di mentire sulla propria storia, sul proprio recente passato, talché i canoni della fantasia e del racconto servono a mettere in pagina la realtà e la cronaca.

Il sottotitolo promette “In una storia, la storia di tanti”. Credo voglia dire che quella vissuta dal protagonista, e dalla sua famiglia, è stata una storia al plurale. E l’assoluzione finale, il riconoscimento dell’innocenza, è anch’essa una storia plurale. Ma significa, questo, che infine la giustizia trionfò? O non significa, piuttosto, che lo strumento giustizia è servito al trionfo del suo opposto? L’ossimoro che descrive la posizione del protagonista, il suo essere colpevole perché innocente, può essere capovolto ed utilizzato come biografia di una nazione che cercò delle colpevolezze per pretendersi innocente. Ed invece, ben al contrario, se l’Italia di quegli anni fu innocente lo fu “come un bimbo”, nel senso di totalmente incapace di dominare gli eventi e determinare la propria sorte, in molti casi, anche solo di capire.

Lo leggano, questo libro, i tanti che credettero di poter giudicare, i tanti che non risparmiarono commenti, i tanti che bevvero il calice avvelenato della bugia, i quasi tutti che si ritennero diversi e migliori, lo leggano, e chissà che, alla fine, non comprendano che solo in un Paese di colpevoli quella storia poteva ambientarsi. Colpevoli di disinteresse, di cecità, d’incapacità di comprendere e difendere il diritto ed i diritti.

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