Fra crocifissi e minareti c’è chi ha perso la bussola, tant’è che, come osserva un puntuto Senaldi, alla fine il papa difende i minareti ed i leghisti (talora celtici) la croce. Non so se non ci sia più religione, so che a prenderne le parti ce ne sono tanti con idee poco pensate. Prendete, ad esempio, quelli che volevano inserire le “radici cristiane” nella, ipotetica, costituzione europea, proprio per ribadire un’identità che ci distingue dall’islam, salvo, poi, ritrovarsi con una parte consistente della cristianità che difende le ragioni delle torri da cui il muezzin invita alla preghiera, anche se, in terra islamica, è proibito suonare le campane, chiamando ad analoga raccolta.
Lasciamo perdere il piccolo cabotaggio del propagandismo politico, sia di quanti s’immaginano crociati che di quanti pensano basti il mignolo alzato per millantarsi cultori del the snob. Lasciamo perdere, sia i “madre santissima” che i “signora mia”. Tanto, basta distrarsi che si scambiano le posizioni. Pensiamo alla posizione della chiesa cattolica, che trovo lucida e coerente. Oltre tutto con solide basi culturali, visto che Giovanni Paolo II avviò, ad Assisi, giornate di preghiera nelle quali si raccoglievano i capi di diverse religioni. Lì c’è la radice che oggi porta a difendere i minareti, e c’è il segno di una consapevolezza che ad altri sfugge.
Per la cattolicità il problema non è l’islam, ma la secolarizzazione. Il pericolo non viene dalle moschee, ma dalle chiese vuote o che si riempiono per feste (tipo battesimi, comunioni, cresime e matrimoni, cui si aggiungono i funerali) che perdono vieppiù il loro significato religioso, o lo si annacqua in regali e banchetti. Il guaio più grosso non sono i matrimoni interreligiosi, che magari funzionano poco, a meno che uno dei coniugi non si faccia annettere dalla fede dell’altro, il guaio grosso sono quelli cattolici, che si squagliano sempre più di frequente, e che trovano a difendere il baluardo della famiglia dei leader politici che si dicono cattolicissimi, ma di famiglie ne hanno più d’una. Il dilemma non è legato alla subordinazione della donna, praticata dall’islam, ma dall’affrancare il sesso dalla riproduzione. E così via, fino alla RU486. In un tal quadro, le gerarchie vedono nell’islam, ed anche nel suo fervore religioso, un alleato, mica un nemico.
Capisco questi timori. Mi paiono fondati. Così come avverto l’enorme differenza fra la fede vissuta come scelta privata ed identità collettiva, tipica del cristianesimo dei nostri giorni (in altri tempi non fu così), e la fede praticata come strumento di pubblica forza ed unico mezzo d’assimilazione individuale, tipica dell’islam odierno (anche qui, non sempre è stato così, e sia l’Egitto che la Turchia, solo per fare due esempi, conobbero la convivenza fra islam e laicità). Capisco il legittimo desiderio del proselitismo, ma osservando i grotteschi cortocircuiti descritti all’inizio, osservo che l’identità, o, meglio, per dirla in modo piatto e chiaro: la superiorità del nostro mondo, superiorità culturale e politica, risiede nello Stato laico, casa di tutti, credenti in diverse religioni e non credenti. E’ il frutto migliore della nostra cultura, formatasi con una fortissima influenza cristiana.
L’islam è oggi una forza arretrata e reazionaria perché pretende di non riconoscere la legittimità dello Stato laico. Va combattuto, però, non brandendo le croci come fossero clave (offendendo così le croci), ma aggredendo le teocrazie nel loro punto debole: la negazione dei diritti umani. Il governo iraniano, insomma, è un nemico della civiltà non perché islamico, ma perché teocratico e dittatoriale. Gli studenti che sommergono le piazze di Teheran devono essere appoggiati non perché anti islamici (non lo sono, affatto), ma perché nemici della dittatura.
Certo, il nostro è un mondo che si presta a maggiori contraddizioni, tipiche della libertà. Sicché può starci una sentenza contro il crocifisso (avverso la quale i musulmani non hanno manifestato la benché minima solidarietà, anzi, hanno festeggiato), e può starci un referendum svizzero contro i nuovi minareti, che non è affatto contro le moschee, neanche quelle nuove. Ma non mi fanno paura, né gli svarioni né le esagerazioni. Temo di più, invece, il vuoto della cultura. Mi spaventa la moscezza intellettuale di un mondo che s’attarda in battaglie ottocentesche, o guarda agli imam con dolcezza, dopo aver considerato i parroci con severità (come capitò ai francesi, che incubarono quel mostro di Khomeini). Mi spaventano i crociati senza fede, i miliziani dediti allo scontro, avendone scordato il perché. Tutta gente candidata a convertirsi, non importa a cosa. Non per paura della morte, come capita alle anime tremule, ma per paura della vita, come capita a quelli senza anima.