Se, a proposito di Cuba, si apre il capitolo letteratura, a tutti viene in mente lo stesso nome che, per ragioni di decenza, noi non faremo. Grande scrittore, certo, ma non l’unico.
Due anni fa, per esempio, sono arrivate le opere di un cubano, Pedro Juan Guitiérrez. Libri duri ed odorosi, pagine traboccanti sensualità, ma senza alcuna concessione all’erotismo, istantanee di vita di un’Avana che può conoscere solo chi c’è nato e ci vive.
Tutti gli stereotipi vengono fatti a pezzi, calpestati e derisi, da quest’uomo che ha fatto mille mestieri, che ha attraversato l’altra dimensione dell’Avana. Che conosce l’umanità persa, mendica e venduta che circonda il turista, che è sinonimo di ricco, d’appartenente ad un mondo diverso e sicuramente migliore. “Quando un turista incauto e immalinconito atterra in mezzo a questa fauna poco aggressiva, ma furba e convincente, in genere cade in trappola affascinato. Decide di comprare rum o tabacco di merda, fermamente convinto che sia tutta roba buona, originale, e si sente un tipo davvero sveglio e fortunato. A volte nel giro di qualche mese sposa una di quelle splendide ragazze, o si mette con uno di quei giovani segaioli. Dopo tante prodezze il nostro turista garantisce agli amici in patria di avere raggiunto la vera felicità, sostiene che la vita ai tropici è meravigliosa e che gli piacerebbe investire quaggiù i suoi risparmi e comprarsi una casetta vicino al mare per viverci con la sua negretta graziosa e compiacente, abbandonando per sempre il freddo e la neve e senza più vedere le persone educate, precise, calcolatrici e silenziose del suo paese. Cade insomma in un trance ipnotico, ed esce dalla realtà”. Ed è proprio la realtà, con tutte le sue crudezze, che si ritrova nelle pagine di Gutiérrez.
Così come quando scrive: “Solo i vecchi si aspettano ancora che il governo risolva qualcuno dei problemi della gente, almeno di tanto in tanto. Per quarant’anni gli hanno inculcato quell’idea, e ormai la portano incisa nel patrimonio genetico”. Le storie dei giovani, al contrario, son tutte storie di chi non ricorre alla Stato, ma è rincorso dallo Stato. Quattro libri, per le Edizioni e/o: Trilogia sporca dell’Avana; Il Re dell’Avana, Animal Tropical e Malinconia dei leoni.
Il secondo è un romanzo sbalorditivo, con un incipit drammatico e surreale ed una conclusione che, per quanto assurda, la si assorbe come coerente con il racconto. Anche questa è l’Avana, e si farebbe bene a saperlo se non si vuol far la fine del turista rimbecillito. Per chiudere il ciclo dell’Avana manca ancora la traduzione di due romanzi: El insaciable hombre arana e Carne de perro.
Si pensi che i cubani, di tutto questo, possono leggere solo Animal tropical, che, per il vero, parla più del contrasto fra la sensualità abanera e quella svedese che non di Cuba. Qui, nell’isola, l’autore ha dovuto subire, più che altro, la censura e l’ostracismo, fino aperdere il suo lavoro di giornalista.
Sempre in questi mesi è stato pubblicato un altro romanzo, di autore e contesto del tutto diversi: L’animale morente, di Philip Roth, edito da Einaudi. Anche qui torna Cuba, con pagine che, alla fine, sono struggenti.
In questo caso il lettore non è condotto a conoscere il retropalco dell’Avana, ma a scandagliare i sentimenti di quei cubani che moriranno senza più vedere Cuba, essendone fuggiti, essendo felici d’averlo fatto, è ciò non di meno privi di quello che continua ad essere il loro unico paese.
Il lettore di questi libri diviene, come sempre capita quando i lettori sono veramente tali, autore di una nuova trama, immaginando che possano incontrarsi i due mondi dei derelitti dell’Avana, affamati ma talora felici, e dei ricchi cubani della Florida, affluenti e malinconici. Anche in quel caso sarebbe difficile tirare le somme, immaginare un bilancio, trarre una morale. E, forse, più che difficile sarebbe inutile.
Al debutto de secolo Ivonne Lamazares ha dato alle stampe Dimenticare Cuba, edito, in Italia, da Piemme. Un solo tema attraversa tutte le pagine: il desiderio di vivere e, per vivere, fuggire da Cuba. Un romanzo che ha in una ragazzina l’io narrante, alle prese con una madre che fu combattente rivoluzionaria e che, poi, assaggia sulle proprie carni l’impossibilità di accettare il misto di miseria e repressione della Cuba rivoluzionata.
Una fuga che potrebbe costare la vita, a bordo di una zattera del tutto simile a quella su cui molti si sono imbarcati. Il lettore italiano farà bene a riflettere sul fatto che, in racconti di questo tipo, noi facciamo il tifo per gli esseri umani che si imbarcano, che sfidano il mare per sperare in un mondo migliore. Quando, però, gli “invasi” siamo noi, cambiamo atteggiamento, sembriamo meno disponibili a comprendere le ragioni di chi sale sulla zattera o sul canotto, inventiamo, per noi stessi, scuse che hanno a che vedere con la delinquenza e la violenza, declassiamo la fuga da spirito vitale a minaccia. Vale la pena riflettere.
Una fuga, quella delle due donne, madre e figlia, che costa l’abbandono di un fratello, poi colpito, per rappresaglia, dalla burocrazia in grigioverde. Una fuga che approda in una Miami squallida, con fenomeni di speculazione politica sulla sorte di coloro che fortunosamente vi approdano, ma, pur sempre, terminale di un paese che offre la possibilità di ricominciare, di rialzare la testa.
Di tenore del tutto diverso il libro di Alejo Carpentier, L’Avana amore mio, appena pubblicato da Baldini&Castoldi, che della Cuba di Fidel Castro fu addetto culturale, quindi non certo ostile al regime. Sono pagine avvincenti, rievocanti una città del passato, che non c’è più, o che c’è ancora, ma invecchiata. Un libro sentimentale, nel quale, comunque, si ritrova un ricordo a suo modo sintomatico: una volta le puttane, all’Avana, arrivavano dalla Francia.
Mi ha colpito il libro scritto da un italiano, Roberto Goracci, A est dell’Avana, pubblicato da TEA nel 2001. Forse trae in inganno il nome della collana, “Avventure”, perché non sono solo pagine dedicate all’avventura tropicale, ma anche disvelatrici di come il mito si sgretoli alla luce dell’esperienza. Goracci arriva a Cuba portando con sé un pregiudizio positivo, e ci spiega che il modo migliore per non capirci niente è proprio quello di dar retta ai pregiudizi, positivi o negativi che siano. Scrive: “Chi viene a Cuba per un paio di settimane se ne ritorna a casa con le stesse idee di quando è partito. Se sei di destra, vedrai solo poveracci senza libertà, che si arrangiano per vivere, sotto il regime di un dittatore assassino. Se sei di sinistra, noterai un popolo allegro e spensierato, che attraversa un momento difficile, ma all’ombra delle sue conquiste sociali, guidato da un capo carismatico. Che bello avere ideali chiari e fermi, e riportarli a casa, travisando la realtà, confezionati come alla partenza. Per forza senti il bisogno di catalogare questo Paese, perché in realtà, così com’è rappresenta una sconfitta per tutti”.
Tra le altre cose, ci aiuta anche a capire il racconto che, successivamente, farà la Lamazares: la gente, da Cuba, non scappa più in barca, perché non ci sono più barche; da qui quella fatiscente zattera.
E nel suo libro ritrovo proprio quello che, all’Avana, mi diceva un giovane negro: “La festa del primo maggio sarebbe dovuta iniziare dopo il discorso di Fidel. Quelli del partito avevano messo anche gli altoparlanti nelle piazze (siamo a Holguin n.d.r.), perché lo sentissero proprio tutti. Pensa che non era permesso vendere birra fino a che El Barba non avesse finito di parlare. Ebbene, sai per quanto ha parlato?” “Non so ? le solite tre ore” “Sei! Ha parlato per sei ore di fila! Quando ha finito era mezzanotte. La gente stava finalmente uscendo per fare festa, quando Fidel ha ripreso i microfoni. Si era scordato i complimenti alla squadra di pallavolo che aveva appena vinto il campionato, altra mezz’ora di bla-bla!”. Sembra incredibile, sembra il racconto di una persona che vuole per forza denigrare El Barba. Invece la sua logorrea inarrestabile, insaziabile, inestinguibile è divenuta parte del paesaggio e della realtà.
Non è un romanzo, quello di Goracci, ma non è neanche una guida per turisti che vogliono mascherare il reale scopo del loro viaggio: le ragazze cubane. Merita maggiore attenzione, merita di essere letto.