Idee e memoria

Destra, sinistra ed il male assoluto

Lodevoli e chiare le parole di Gianni Alemanno, che, in visita ad Auschwitz, ha accomunato fascismo e nazismo nella responsabilità per quella pagina orribile. Poteva andarci prima e dirle prima, e su di lui, personalmente, ricade la responsabilità per questo eterno ritardo. Ben vengano, comunque, e ne sia reso merito allo straordinario lavoro che sta facendo Riccardo Pacifici, della comunità ebraica romana. Sarebbe sbagliato, però, non avvertire di due grossi errori, che se taciuti rischiano di figliare altri mostri.

Non mi piace la definizione “male assoluto”, e neanche il concetto di “ferocia inumana”. Il nazismo, compresa la persecuzione degli ebrei e le leggi razziali che le viltà fascista e monarchica imposero anche all’Italia, non hanno nulla di men che umano. Di quelle sono responsabili intere generazioni, composte da quanti levarono inni al razzismo (fra i quali tanti che ancora oggi fanno lezione di morale) e da quanti non ebbero il coraggio di alzarsi per maledirli. Il concetto di “assoluto” sembra quasi assolvere tanto i singoli quanto la collettività, evocando una specie di maledizione sovrumana. Niente affatto: la persecuzione degli ebrei data da assai prima che Hitler nascesse e fu praticata da Stalin con pari determinazione. Troppo facile e troppo sbrigativo gettare la colpa sugli interpreti estremi di quest’infamia.
Nella destra italiana, nei movimenti fascisti che videro fra i propri militanti molti governanti d’oggi, l’antisemitismo era ed è presente. Non deve esserci nessuna indulgenza.
Il secondo errore nasce da una cattiva digestione storica. Alemanno, per sintetizzare le sue parole, ha detto che la destra deve fare i conti con il male nazista e fascista, sì come la sinistra deve farli con lo stalinismo. I primi, quindi, considerati di destra, il secondo di sinistra. Sbagliato. Il nazismo ed il fascismo nascono da ceppi della sinistra. Nazional socialismo il primo, socialista il capo del secondo. In tutte e due queste ideologie è preponderante il concetto di “popolo”, mutuato dal linguaggio della sinistra sindacale, riconducendo a quello l’identità delle nazioni. Questo non significa che nazismo e fascismo furono di sinistra, ma che fu l’esito della seconda guerra mondiale, e lo schieramento dei vincitori, a rendere possibile quel tipo di catalogazione. Che resta storicamente arbitraria.
Il ceppo nazista non è diverso da quello comunista, risiedendo nell’allucinazione che un uomo, un gruppo od un partito possano essere gli interpreti esclusivi del bene, naturalmente identificato con quello del popolo. Le dittature del ventesimo secolo furono progressiste e modernizzatici, non restaurative del passato. Le categorie di “destra” e “sinistra” non aiutano a capire, perché il discrimine passava fra riformisti e rivoluzionari, fra democratici e dispotici. Solo il linguaggio successivo ha pietrificato la natura destrorsa o sinistrorsa di questo o quel carnefice, che s’erano allattati al medesimo capezzolo, pur conservando, ovviamente, le loro maniacali diversità.
Se lo si dimentica, se s’inquinano le acque della storia, poi non si capisce più perché, dopo la seconda guerra mondiale, la sinistra riformista fu, in Italia, in minoranza rispetto a quella innamorata del dispotismo, quella comunista. E fra gli intellettuali comunisti ve ne furono tanti che erano stati fascisti, senza mai aver fatto troppi cambiamenti. La stessa cosa non avvenne per la sinistra democratica. Prendete quel filo, seguitelo fino ad oggi, fino a questa mattina, e vi sarà chiaro perché l’avversione della sinistra post ideologica si rivolge più contro i riformisti che contro i reazionari.

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