Non credo d’essere affetto da sarkomania, ma seguo il presidente francese da molto tempo, lo leggo con attenzione e in lui riconosco, come prima in Blair, per restare in Europa, quel che dovrebbe essere un politico ed uno statista nell’era che s’è lasciata alle spalle l’ideologia.
Nei pregi e nei difetti, nelle grandezze e nelle piccinerie, si tratta di protagonisti che hanno saputo ritessere la trama della politica, e degli interessi nazionali, in anni in cui la lettura ideologica, o anche solo “di parte”, non consente più di comprendere quel che accade. Istruttivo quello che Sarkozy è andato a dire ai cinesi, nel corso del suo recente viaggio.
Non è andato a calcare una passerella, salvo parlare in modo rituale del rispetto dei diritti umani e riservatamente degli affari. Forse ha fatto l’opposto, ma anche pubblicamente ha lanciato un monito pesante e significativo: otto secoli fa, ha detto ai suoi ospiti, eravate una grande potenza economica, la più grande, poi vi siete chiusi al mondo e vi siete immiseriti; oggi state crescendo, provate a chiudervi e scivolerete indietro. Mica male!
E leggete due passaggi del suo discorso. “Ho scelto di venire in Cina insieme ad imprese specializzate nelle tecnologie del risparmio energetico, nel riciclaggio, nelle energie e nei materiali rinnovabili. Sono numerose piccole e medie imprese, perché è nell’interesse della Cina e della Francia che queste aziende possano esercitare il loro know-how in Cina, fondare delle filiali ed esportare i loro prodotti”. Come dire: non veniamo a farvi la predica dei protocolli di Kyoto, sappiamo benissimo che consumerete energie e materie prime, a partire dai materiali ferrosi. Collaboriamo, fate entrare le imprese francesi che ho portato con me, e le cose andranno per il meglio.
Ma non basta, perché poi offre ai cinesi d’andare ad investire in Francia: “Da sei mesi a questa parte abbiamo fatto delle riforme profonde per migliorare la competitività della nostra economia. Sono perfettamente cosciente che siamo solo all’inizio, quindi continuiamo. Abbiamo abbassato le tasse sul lavoro per incoraggiare l’occupazione. Abbiamo riformato l’università per metterla in grado di decidere liberamente la propria strategia e allacciare partenariati con le imprese. Abbiamo portato al 30 per cento il credito d’imposta sulla ricerca: nessuna economia fa di più, lo dico agli imprenditori cinesi e francesi, oggi lo Stato francese vi rimborsa il 30 per cento delle spese sostenute per la ricerca e lo sviluppo. (…) Riformeremo il diritto del lavoro, la cui rigidità è un freno alle assunzioni e agli investimenti. Investiremo 5 miliardi di euro in 5 anni nelle nostre università e aumenteremo del 25 per cento gli sforzi per la ricerca. (…) La Francia è pronta ad accogliere gli investitori cinesi non appena, naturalmente, la normativa sugli investimenti esteri sarà la stessa in ciascuno dei nostri due Paesi”. Capito? Noi entriamo da voi, voi la piantate di discriminare il capitale estero, ci aprite il vostro mercato e, nel frattempo, noi rendiamo più competitivo il nostro e voi potrete far fruttare da noi i soldi che guadagnerete anche grazie a noi.
Questo è far politica! Senza complessi d’inferiorità e senza cedere in nulla sul proprio ruolo statale. Se penso alla miseria delle merci contraffatte ed importate tramite il porto di Napoli, se penso che quello che noi offriamo è il vantaggio competitivo dell’economia nera, ovvero la possibilità di far passare sul nostro territorio commerci che facciano marameo al fisco, se penso che nessun capo di governo italico gira il mondo promuovendo gli interessi delle nostre aziende, per giunta portandosi dietro le piccole e le medie, da una parte mi viene la malinconia, dall’altra mi viene anche da dire: avete voluto ammazzare la politica? si è appaltata la morale a tribunali che non funzionano? ci sono organizzazioni imprenditoriali che quasi quasi soffiano sul fuoco del qualunquismo? ecco, ora tenetevi i cocci, ve li siete meritati.