Il problema della tossicodipendenza è reso complesso, oltre che da altri fattori, dal fatto che i drogati non sono un universo omogeneo, ma ciascuno è un caso a sé.
Per questo motivo nessuno, che sia in buona fede e sano di mente, può sostenere di avere in mano la soluzione del problema. Semmai una delle possibili soluzioni. In tal senso le comunità, che sono fra loro diverse, sono fin qui state lo strumento più efficace per aiutare i giovani drogati a non essere più tali.
Leggo, pertanto, con una certa meraviglia quanto sostiene Roberto Nardini su L’Opinione di ieri. E’ evidente che l’ingresso in comunità è una scelta impegnativa, ed è non meno evidente che il percorso terapeutico e di affrancamento dalla dipendenza (fisica e psicologica) non è una passeggiata. Del resto, è proprio l’impegno che si chiede al ragazzo il primo elemento utile a renderlo capace di rompere con un passato che rischia di compromettere il suo futuro. Le comunità, oltre tutto, sono state lo strumento capace di sottrarre molti e molti ragazzi alla galera. Che, e questa è opinione comune, non è certo il luogo più adatto ad ottenere un qualsiasi risultato che non sia la cieca ed inutile punizione.
Nardini propone di dare maggiore peso e spazio ai programmi di recupero liberamente scelti dai tossicodipendenti, senza imporre alcuna residenzialità. Si tratta, in buona sostanza, dei programmi di somministrazione del metadone a dosi scalari, già massicciamente sperimentati ed i cui esiti sono a dir poco disastrosi. Questi programmi, difatti, ben raramente aiutano il giovane a smettere con la droga, mentre lo aiutano a restare tossicodipendente.
Se un giovane drogato incappa nelle maglie della giustizia (il che avviene quasi sempre, e per diverse volte, nella vita di un tossicodipendente), lungi dal volerlo fare restare fra le mura di una cella (peraltro permeabili alla droga), si presenta l’occasione di offrirgli una via d’uscita. Ed in tal senso hanno lavorato le comunità. Naturalmente quel giovane rimane nel diritto di rifiutare l’offerta, ma questo non mi sembra un buon motivo per scarcerarlo e consentirgli di tornare ad essere il tossicodipendente di prima (con inevitabile ricaduta anche in comportamenti criminali). Quella che così gli verrebbe offerta non è una libertà di scelta, bensì la strada di una vita senza scelta e senza libertà.
Nardini fa anche un accenno alla realtà di San Patrignano. Non la commento perché non l’ho capita. Le carte processuali le ho lette pagina per pagina, e l’unica cosa che ci ho trovato, e che ho documentato, è la storia di una forsennata e pluriennale persecuzione giudiziaria. Su quella ho scritto, mettendo in luce anche il comportamento inqualificabile dei magistrati che se ne occuparono ed invitandoli pubblicamente a querelarmi. Non lo hanno fatto. Suggerisco, quindi, a chiunque intenda occuparsi di questa materia, di non adagiarsi acriticamente sulle carte dell’accusa, ma a tenere presente che ci sono anche le sentenze.