In passato, a coronamento di una lunga e seguita battaglia, intessendo legami effettivi con settori importanti della società, calandoci nel vivo del problema, proponemmo la rilevanza penale del consumo di droga e l’alternativa al carcere, giudicandolo il posto meno idoneo dove spedire un drogato.
Non abbiamo mai voluto i drogati in carcere, così come non ce li voleva Vincenzo Muccioli, al cui fianco ci battemmo. Al contrario, in epoca di “diminuzione del danno” e di dosi personali consentite, le carceri sono piene di drogati. Ecco, tanto per chiarire che le cose vanno conosciute, anche nella loro complessità.
Gli antiproibizionisti dicono: proibendo e punendo non si risolve il problema, anzi, lo si aggrava, costringendo all’illegalità anche quanti fumano uno spinello, pratica in sé non devastante; il proibizionismo, dicono, ha sempre perso, e lo dimostra il fatto che il mercato illecito prospera. Sembra ovvio, invece è una gran castroneria. Il perché è comprensibile ragionando sull’antiproibizionismo.
Se tale dottrina deve servire a stroncare l’esistenza stessa del mercato illecito, quindi delle mafie, allora la ricetta non può che essere di totale liberalizzazione: deve riguardare tutte le droghe, tutte le quantità e tutti i consumatori. Già, peccato, però, che la droga dia dipendenza, la droga, non il mercato, arpiona il suo consumatore e gli ciuccia via la libertà di scelta. Se liberalizzo, ovviamente, i consumatori aumentano, così come successe dopo il proibizionismo alcolico negli USA: i bevitori aumentarono, e con essi gli alcolisti (che son due cose diverse, e per ingenerare la dipendenza da alcol, comunque, ci vuole assai più tempo). Allora, che faccio, per combattere le mafie, faccio aumentare il numero dei drogati? E chi è il pazzo che propone una cosa simile?
Peccato, inoltre, che le droghe sintetiche brucino il cervello, lo appappettino pillola dopo pillola, fumata dopo fumata, e partendo fin dalla prima. Che faccio, per combattere lo spaccio, fornisco questo veleno in libero commercio?
Gli antiproibizionisti non ideologici, più pragmatici, sanno bene che quanto ho fin qui scritto è vero, e tendono, quindi, a distinguere fra una sostanza e l’altra: una cosa è l’eroina, cosa diversa è lo spinello. Intanto, così ragionando, è chiaro che si perde il valore salvifico dell’antiproibizionismo ideologico: non si elimina il mercato nero e la mafia, per la semplice ragione che resta un circuito del proibito. Stabilito ciò, è ragionevole distinguere fra una sostanza e l’altra? Si, è ragionevole, ma non molto utile.
La cocaina è una cosa, capace di creare una dipendenza pazzesca, subdola perché ritenuta la droga dei ricchi e dei vincenti, laddove è la terapia della paura e della viltà; lo spinello è cosa diversa. Ma già esposto così, il problema, contiene un errore: che ho messo nello spinello? L’olio di hashish è dannosissimo. La marijuana non è la valeriana (possibile che si faccia la guerra ai fumatori, come me, di sigari, e si difendano gli spinelli?), sono documentati danni genetici. Ma, anche a voler trascurare questo, anche a volerlo discutere scientificamente (ed io non ne sono in grado), sarà bene ricordare che i fumatori di spinelli non esistono. No, perché quel che conta è la persona, non la sostanza. Chi fuma lo spinello lo fa per “sballare”, ed è la ricerca dello sballo che contiene in sé la trappola dell’escalation. Non la sostanza, la persona. Dalla marijuana non si passa all’eroina per ragioni di tolleranza, ma dallo spinello si passa alla pasticca ed alla sniffata per ricerca di sballo. Ed a quel punto, specie se giovani, si è fottuti. I fumatori di spinello non esistono perché l’esperienza c’insegna che il consumo di droghe è, fin dall’inizio, misto ed incrociato. Legalizzare lo spinello, in epoche di campagne antifumo, serve solo, allora, a comunicare che si può sballare senza danno. E questo è un messaggio falso, oltre che terribilmente pericoloso.
Io sono un proibizionista proprio perché amante della libertà, e perché sono certo che la libertà non consenta la rinuncia alla libertà. Il drogato non è libero, è incatenato, sminuito del suo libero arbitrio, al tempo stesso vittima e monumento dell’illibertà. Altro che socializzare, altro che libertarismo. Restiamo un attimo al libero arbitrio. Ciascuno di noi deve essere libero, uno Stato che non sia etico, quindi totalitario, non può entrarmi nelle mutante, non deve dettarmi i miei comportamenti privati. Giusto? Giustissimo. Ma io sto anche con Karl Popper, quando scrive: “E’ chiaro che secondo il principio di Mill qualsiasi persona capace di intendere e di volere ha assoluto diritto di rovinarsi liberamente con l’uso delle droghe e che lo Stato non gli può togliere questo diritto. Ma lo Stato non è forse obbligato a impedire ad altri di creare una situazione così terribilmente pericolosa? Perciò lo Stato non è forse obbligato, proprio come fa adesso, a proibire la vendita di droghe, e anche con le più dure punizioni?”.
Si dirà: ma una cosa è punire lo spaccio, altra punire il consumo. Vero, ma occorre ricordare da quali esperienze venivamo. Il mio amico Vincenzo lo avevano messo in galera perché si era permesso di trattenere dei drogati (non mi dilungo, rimando ai libri scritti), giacché, si sosteneva, essi erano liberi di drogarsi. No, dicevamo noi, non si è liberi di suicidarsi (e non si confonda, per carità, con l’eutanasia). Vincemmo noi. Vincemmo nei tribunali e vincemmo nella società. La prima proposta di legge fu elaborata dalla Lenad, e portava la firma di un parlamentare repubblicano. Ancora se lo ricorda, quel mondo lì. Magari se ne son dimenticati i repubblicani. Poi perdemmo il referendum, in una dannata stagione di demenzialità segniste (di cui ancora si paga il prezzo), ma dove la valanga di voti per l’abrogazione si limitò ad una maggioranza. Se si fosse votato solo per quello, avremmo vinto ancora.
Lo spaccio ed il consumo si mescolano, si ritrovano nella stessa persona. Ed il drogato è, spessissimo, anche un delinquente: ruba, scippa, vende le cose sottratte alla madre, minaccia ?. e finisce in galera. Ci finiscono a migliaia. Per questo noi proponevamo la rilevanza penale anche del semplice consumo, ma l’alternativa al carcere, con le comunità, per tutti quelli il cui comportamento criminale aveva le sue radici nel consumo di droghe. Non ho cambiato idea.
Si è scritto: il disegno di legge proposto da Gianfranco Fini è criticabile. Certo che lo è (chi è il frescone che ha pensato di consentire dosi più massicce di cocaina? Non è che nella compagine governativa c’è qualcuno più sensibile alla “materia”?). Ogni ddl è migliorabile, ed io non condivido del tutto neanche quelli che scrivo, perché occorre tenere presenti molte cose, non solo le proprie convinzioni. Ma cerchiamo di non essere ipocriti: per ciò che in quel ddl viene più duramente attaccato è, al contrario, totalmente condivisibile.
Termino. Non tutti i problemi hanno una soluzione, come dire, definitiva (che già vengono i brividi a sentirlo). La lotta alla droga non ha una legge od un atto conclusivo. Siamo destinati a combatterla, perché non abbiamo il controllo della produzione. Combatterla sul lato della diffusione significa reprimerne il commercio e tentare di prevenirne il consumo. La scelta politica riguarda gli strumenti della guerra: la si combatte e la si previene meglio distribuendola o proibendola? La seconda che ho detto.