Idee e memoria

Élite plebea

Va di moda sostenere che gli elettori europei votano facendo pernacchie perché le élites se le meritano. Sembra una specie di teoria della liberazione dal politicamente corretto e dal culturalmente appropriato, che se così fosse avrebbe un effetto di piacevole alleggerimento, ma, a ben osservare, ripropone l’antico adagio secondo cui il popolo altro non è che bue.

Intanto l’intera faccenda poggia su un significativo ed esplicativo equivoco, secondo cui quando il popolo si pronuncia occorrerebbe ossequiarne l’avviso e a quello inchinarsi. Neanche per sogno: in democrazia la maggioranza decide, non c’è dubbio, non solo, però, è più che legittimo e democratico argomentare che la decisione presa appartiene al novero delle bischerate, ma è da escludersi che possa democraticamente essere presa e accettata una decisione che vada a nocumento delle libertà e della sicurezza di chi resta in minoranza. Nelle dittature il popolo è falsamente sovrano assoluto, sicché il capo, che di quella massa (non cittadini, non elettori) è guida e prodotto, toglie spazio e parola alle minoranze, individuate quali nemiche del popolo stesso. Nelle democrazie questo è escluso, sicché criticare un voto popolare è del tutto lecito. Oltre che, il più delle volte, salutare.

A parte lo schema classico, però, oggidì ne ricorre una versione aggiornata: per forza che gli elettori si rivolgono in parte cospicua, e magari in maggioranza, verso soggetti e parti politiche che hanno più di un tratto imbarazzante, ma lo fanno perché non ne possono più degli altri, per l’occasione identificati con l’élite; per forza che gli elettori votano blu anziché giallo, ma lo fanno per dire che non ne possono più del turchese. Capita, certo, che in democrazia prenda piede il voto “contro”, magari, e qui il discorso fila, perché difetta l’offerta “pro” qualche cosa. Ma quando per essere contro qualche cosa si finisce con il votare contro i propri interessi, quando per sfiducia nei governanti si vota gente in cui è davvero arduo riporre fiducia, allora è in atto una vera e propria autodistruzione. E non è che gli speculatori e i surfisti della paura e della rabbia siano particolarmente più apprezzabili della classe politica e dirigente che pensava di campare della rendita assicurata loro dal non potere essere sostituiti. Non so dove stia l’élite e, a naso, non mi pare di scorgerne neanche l’ombra, ma vedo che così descrivere ed esaltare i vari responsi delle urne equivale a considerare gli elettori, nel loro insieme, una massa irrazionale. Nell’irrazionalità si possono ben coltivare azioni e reazioni con cause specifiche, ma, appunto, non razionali.

Con il che si torna a Platone (antenato di tante dittature, che nascono “buone” per poi essere sempre quel che sono: dittature): il popolo anima concupiscibile, che deve essere guidata con mano ferma dall’auriga, l’illuminato, incarnante l’anima razionale. Altrimenti prende il sopravvento la terza anima, quella irascibile. Allora incarnata dalla forza militare, fra i contemporanei diffusasi in varie forme di sostituzione funzionale del governo pubblico.

Ragion per cui, avrei da dire una sola cosa: se per non essere elitari ci si mette tutti a inseguire i supposti umori popolari (va a votare sempre meno gente, ovunque, segno che il popolo resta complessivamente sconosciuto ai suoi supposti aruspici, sondaggisti in testa) non è che si vestano i panni degli schietti democratici e coraggiosi condottieri, ma quelli dei vili ruffiani, intellettualmente plebei.

Davide Giacalone

www.davidegiacalone.it

@DavideGiac

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