Idee e memoria

Falkland e sovranità

La tentazione di far spallucce e liquidarla come una storia assai lontana, dai tratti quasi folkloristici, è forte, ma il referendum tenutosi nell’arcipelago delle Falkland serve a ricordarci che i conflitti per il dominio territoriale non sono storia lontana, ma presente. E serve anche a farci riflettere sull’autodeterminazione e la convivenza dei popoli.

Agli abitanti di quelle isole è stata posta una domanda a dir poco retorica: volete voi continuare a essere amministrati dalla graziosa maestà britannica? Il 99,8% ha risposto di sì. Dato che i votanti sono stati 1.517 (92% l’affluenza), ne deriva che a votare “no” sono stati in tre. Vien voglia di conoscerli. Il risultato era scontato, ma non risolutivo, perché l’Argentina continua a rivendicare la sovranità su quelle che chiama Islas Malvinas. Né la cosa riguarda solo Regno Unito e Argentina, perché un più vasto gruppo di Paesi utilizza l’arcipelago come banco di prova della tenuta occidentale. Sicché la cosa assume una dimensione decisamente più grande.

Se si guarda la cartina geografica si nutrono pochi dubbi: da quelle acque atlantiche la costa argentina dista 400 chilometri, mentre l’Europa si trova dall’altra parte dell’oceano. Se sovranità e affinità geografica camminassero assieme, le isole sarebbero da considerarsi argentine. Né ci aiuta molto la storia, perché gli inglesi vi costruirono la loro base navale nel 1833, mentre gli argentini costruirono il porto nel 1829 (non a caso la capitale si chiama Port Stanley in inglese e Puerto Argentino in ispanico). Non basta per dire: è sempre stata roba mia. A contendere la supremazia navale britannica furono i tedeschi, durante la prima guerra mondiale. Persero. Più tardi divenne una guerra inglese, misurando la capacità di sopravvivenza di due governi.

Quello argentino, dove sedeva il generale Leopoldo Galtieri, da poco succeduto a Jorge Rafael Videla, a sua volta autore del colpo di Stato contro Isabel Peron. Una dittatura feroce e sanguinaria. E quello inglese, sana e antica democrazia, guidata da una Margaret Thatcher allora in forte crisi di popolarità (la lady di ferro debuttò con molte difficoltà e il suo primo mandato non fu un gran successo). Gli argentini invasero le Malvinas, sventolando la bandiera della supremazia nazionale. Gli inglesi non ci pensarono due volte e mandarono le forze armate a difendere le Falkland, alzando la bandiera dell’orgoglio nazionale e forti di una risoluzione Onu (502 del 3 aprile 1982) che chiedeva agli argentini di ritirarsi. Gli inglesi stravinsero, portando a casa due risultati di collettiva utilità: la Thatcher passò da 22 al 59% di gradimento, vincendo le elezioni (l’impero attraversava una stagione di grande frustrazione); la dittatura argentina crollò l’anno successivo. Il plebiscitario esito del referendum è il prodotto di questa storia, senza che sia estranea, naturalmente, la grave crisi economica attraversata dall’Argentina.

Eppure le cose non sono così semplici. Quella attuale, in Argentina, è una democrazia, nella forma della Repubblica presidenziale. E rivendica la sovranità. Quando Alicia Castro, ambasciatore argentino nel Regno Unito, dichiara che i 250 mila discendenti inglesi che vivono nel suo Paese sono rispettati e tutelati dice il vero, e pertanto promette eguale rispetto per gli abitanti di Malvinas. E le cose si complicano se si allarga lo sguardo. Il recentemente scomparso, e non compianto, presidente venezuelano, Hugo Chávez, sosteneva che gli inglesi devono restituire le isole, promettendo aiuto per l’estrazione di petrolio e gas. La Siria intervenne, nel 2010, per assicurare sostegno agli argentini, contro la presenza coloniale. E gli argentini hanno trovato sostegno nel Mercosur (mercato comune Sud America), nell’Unasur (che riunisce Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù), nell’Alleanza Bolivariana per le Americhe (cara a Chávez), nell’Oea (organizzazione degli stati latino americani). E tutto questo conta, tanto che il nuovo segretario di Stato Usa, John Kerry, ribadisce che loro riconoscono l’amministrazione inglese, ma non entrano nella disputa sulla sovranità. Che è come tenersi alla lontana da un problema non chiuso.

La compagnia appena descritta, cui si deve aggiungere il Marocco, non è tale da suscitare la commozione dei democratici e l’accorrere degli uomini liberi, ma neanche può essere presa troppo sotto gamba. E’ chiaro che delle Falkland-Malvinas gliene importa quasi nulla, ma è anche evidente che l’arcipelago continuerà ad essere simbolico, nei rapporti fra chi ha dominato il ventesimo secolo e chi non intende farsi dominare. Né si può ritenere che tali questioni riguardino solo le isole perdute fra i Caraibi e il sud Atlantico, perché sarà bene ricordare che la Spagna contesta la sovranità inglese su Gibilterra. Che è qui, dietro il nostro angolo di mare.

La Thatcher trasse gran beneficio dall’improvvida iniziativa di Galtieri. Oggi David Cameron prova a farle il verso, con il referendum-plebiscito. Ma la partita resta aperta, e non certo per quei tre isolani bastian contrari, che hanno votato “no”.

Pubblicato da Il Tempo

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