E’ concepito al passato, il libro di Mario Sechi, ma va letto al presente. Racconta “Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta”, ma riguarda tutte le volte in cui continuiamo a farcela. Ogni giorno. Il 2011 e il 2012 sono anni terribili, di crisi, eppure sono anni in cui l’Italia ha battuto la Germania nel crescere delle esportazioni in area extra-Ue. C’è un’Italia che corre, che ce la fa, che ce la vuole fare. Un’Italia che sta sulla linea che va da Pinocchio a Muti (Riccardo, ma anche Ornella, perché no?), che seppe colmare i ritardi nel farsi Stato e seppe camminare anche mentre per le strade si sparava (negli anni settanta, non durante la guerra!). Quell’Italia c’è ancora, ma non trova chi sappia rappresentarla. E’ questo il problema.
Ci sarei voluto essere, quella sera, a cena. E’ la sera da cui inizia il libro di Sechi. Una cena come tante se ne fanno, dove normalmente deludo i commensali o li faccio arrabbiare. Si sta bene, fra gente di livello, professionisti affermati, ottimo cibo, vini migliori, panorama da sballo. Perché l’Italia è da sballo. Quella sera, racconta Sechi, il piatto forte della conversazione è stato: la sfiducia che dilaga. Piatto che si cucina in tante chiacchiere. Fin quando uno alza il dito e dice: scusate, gentili commensali, ma voi perché credete di aver diritto a vivere in un lusso strafottuto? Che credete di avere fatto, nella vita, per meritarvelo? Ve lo dico io: siete nati nel posto giusto, in Italia. Un Paese ricco e dinamico, ma che ha un difetto profondo, iscritto nel suo codice genetico, e di cui voi siete la contemporanea incarnazione: non crede nello Stato. Non ci crede perché quando lo si fece si vollero sostenere due cose, totalmente contraddittorie: che lo volesse il popolo e che il popolo fosse cattolico, laddove la chiesa non lo voleva, lo Stato, e meno ancora voleva cedere Roma. Da lì abbiamo imparato a mentire su noi stessi: il fascismo? imposto con l’olio di ricino e il manganello, il popolo non era fascista; la resistenza? l’hanno fatta tutti (e non si capisce contro cosa cavolo resistevano); la partitocrazia? perversione di pochi, mentre il popolo era genuinamente cattolico o genuinamente comunista; il debito pubblico? frutto di ruberie e non di elargizioni a chi non produceva quanto consumava; e così via raccontando balle. Completata la cui collezione non resta che una risposta: il popolo è buono, mentre lo Stato è cattivo.
Da qui derivano una serie di conseguenze: dalla macchina in seconda fila, perché devo prendere il pane e non c’è pargheggio, all’evasione fiscale, perché quei porci li spendono male. Da lì nacque l’Italia dei “furbi”, che catalogò fra i “fessi” quelli che credono la legge vada rispettata, ma anche la fila alla cassa. Sicché ai commensali si dice: e voi, gentili viziati, che state facendo perché la sfiducia non dilaghi? Sapete dire che Fiorito deve stare in galera? Bugiardi: fino a ieri eravate dietro la porta di Fiorito, o di uno come lui, per fare affari, e oggi non avete il coraggio di dire che in galera ci stanno i condannati, non gli indagati. O, forse, oltre al coraggio vi manca la cultura per capirlo. E non è un’attenuante, visto che fate quattrini dicendovi professionisti. Ma de che?
Ci siamo raccontati la grande straballa che la società civile sia migliore di quella politica. Invece, ed è questo il dramma, si somigliano. Quando Sechi racconta tutte le volte che ce l’abbiamo fatta occorre porre mente a cosa succedeva nel mentre quelli che ce la facevano si davano da fare. E’ lì la storia d’Italia. Un Paese che ha dato i natali a Niccolò Machiavelli, ma è rimasto fissa dimora di Francesco Guicciardini. Due grandezze italiane, nell’opposto anteporre il bene collettivo e il proprio “particulare”.
O, forse, è proprio quella la nostra grandezza, che coincide con la maledizione, il potere passare da una cosa all’altra, fra l’antipasto e la frutta.
Un’ultima cosa: Sechi ha messo in copertina Pinocchio, cui dedica pagine innamorate. E giustamente, perché trattasi di un grande: il bugiardo cui s’allungava il naso poté dire portentose verità. E ogni riferimento a persone realmente esistenti è del tutto casuale.