Il numero delle vittime italiane rimarrà imprecisato. I partigiani jugoslavi di Josip Broz Tito le presero perché italiane, nella Venezia Giulia, il Quarnaro e la Dalmazia, e le gettarono in profonde insenature, denominate Foibe. Le precipitarono vive, legate, i vivi con i morti, a morire per la caduta o più lentamente e atrocemente. Quel che si ritrovò non era contabilizzabile e ci si dovette accomodare alle stime: fra le 3 e le 5mila persone, fino a 11mila. La popolazione italiana fuggì da quei luoghi e da quelle città, che avevano nomi e storie italiane, lasciandosi alle spalle i morti e la propria vita. All’incirca 350mila persone.
I partigiani di Tito combattevano il nazifascismo, al fianco delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Ed erano comunisti. Allora ortodossi, più tardi disallineati. Questo portò non solo i comunisti italiani a negare il fatto storico in sé, ma anche tanta storiografia a sottovalutarne la portata. I più scelsero di tacere, onorando con la viltà la propria inutilità.
Questa è la scaturigine del problema politico, legato al racconto di quella storia. Era inaccettabile il silenzio, resta inaccettabile la lettura parziale. Tutto, nella storia, va contestualizzato. Anche l’Olocausto va contestualizzato. Ed è ottuso supporre che contestualizzare abbia qualche cosa a che vedere con il giustificare: serve a capire.
Molti italiani furono massacrati perché italiani e perché parlavano l’italiano. Prima furono degli italiani a massacrare chi, in quei luoghi, non era italiano e non parlava la nostra lingua. L’Italia fascista s’avventurò su quella strada per “spezzare le reni alla Grecia”, come tronfio annunciò colui che condusse l’Italia alla rovina materiale e morale: Benito Mussolini. Fu un disastro, cui l’esercito italiano non era preparato. Sarebbe dovuto servire per dimostrare a Hitler di cosa si era capaci, servì a chiarire quanto si era incapaci. Così gli italiani furono soccorsi dall’alleato nazista.
Nello stazionare in quei luoghi gli italiani coprirono le azioni degli Ustascia, croati schierati al fianco dei nazifascisti. Di loro le SS naziste sottolineavano l’eccessiva ferocia e il sadismo. Considerata la fonte della critica sarà bene provare anche solo a immaginare cosa fecero. Quando la guerra ribaltò le forze e gli aggressori furono aggrediti fin dentro i loro paesi e fino alle loro capitali, Berlino e Roma, quel sangue ancora scorreva, chiamandone altro, copioso e di civili inermi, senza distinzione di sesso ed età.
Non si può negare, non si deve tacere l’aggressione etnica. E non si devono truccare le carte. Si deve leggerle tutte e non so se più dolorosa sia la memoria dell’orrore che si praticò o quello che si subì. Una cosa è certa: quel modo di ragionare produsse solo miseria, morte e disonore. Che non stessero da una parte sola peggiora e non migliora le cose. La lezione dovrebbe essere che quel modo di ragionare va ripudiato con ogni forza. Avere a lungo negato le Foibe, supporre di raccontarle fuori dalla loro storia, sono solo modi per riuscire a non capire e non imparare. È questo che ci siamo lasciati alle spalle costruendo quel che non si era mai visto prima: un’Europa senza guerre. Ma non basta averlo alle spalle, serve averlo sempre davanti agli occhi.
DG, 10 febbraio 2020