Idee e memoria

Giovanni Paolo e la libertà

Giovanni Paolo II ha ricevuto il corpo diplomatico ed ha parlato di quattro sfide da fronteggiare, quattro sfide che si possono così riassumere: vita, pane, pace e libertà. Le opinioni del pontefice sono autorevoli, e, per certuni, anche oggetto di culto. A me preme soffermarmi sull’ultima sfida, relativa alla libertà, perché lanciandola Giovanni Paolo racconta assai più di quel che dice.

La libertà di cui parla è libertà religiosa, che, secondo le sue parole, “resta in numerosi Stati un diritto non sufficientemente o non adeguatamente riconosciuto. Ma l’anelito alla libertà di religione non è sopprimibile: esso rimarrà sempre vivo e pressante, finché sarà vivo l’uomo”. E, fin qui, non si può che condividere: esistono ancora ampie regioni del mondo ove non è riconosciuta la libertà di culto. Giovanni Paolo si spinge oltre, e precisa: non si tema che la giusta libertà religiosa limiti altre libertà o nuoccia alla convivenza civile. Al contrario: con la libertà religiosa si sviluppa e fiorisce anche ogni altra libertà”. E, anche in questo caso, non si può che essere d’accordo, specie in un’epoca che non difetta d’integralismi e fanatismi. Ma nel ragionamento del pontefice manca un pezzo, la cui omissione è significativa, manca il quesito: chi è, dov’è il nemico della libertà religiosa?

Il nemico della libertà religiosa, anzi, il nemico della libertà, si annida nel pensiero assoluto, nella convinzione allucinata di possedere una verità da far valere in modo universale. Questa (nefanda) caratteristica non è un’esclusiva delle religioni, ma, di certo, è massicciamente presente nel pensiero religioso. Tant’è che si può dire, con buon fondamento teorico ed innumerevoli riscontri storici, che è la religione il principale nemico della libertà religiosa.

Le grandi religioni del mondo sono religioni che nascono da una rivelazione, vale a dire che, per chi ci crede, il fondamento della loro veridicità ed autenticità è divino, ultraterreno. E’ il divino che muove Abramo, il divino che s’incarna, il divino che detta le norme di vita. Vale per gli ebrei, per i cristiani (in tutte le varie accezioni), per i mussulmani. Gli ebrei si difesero, con la forza, dall’idea che l’antica alleanza si fosse esaurita ed una nuova fosse stata contratta con l’avvento di chi loro ancora attendono. I cristiani si sono difesi, con la forza, dall’idea che il divino abbia dettato, dopo Cristo, una nuova dottrina religiosa. I mussulmani si sono difesi, con la forza, dall’idea che possa esistere altra interpretazione fedele che non quella dettata dall’arcangelo all’unico profeta autorizzato. Ciascuno si è sentito detentore di una verità che, in quanto tale, negava la veridicità dell’altro, del diverso.

In queste condizioni si sarebbe pur potuto convivere, se non fosse che le ultime due (in ordine di tempo) religioni monoteiste hanno aspirazioni universaliste di proselitismo: l’evangelizzazione è un dovere della chiesa, e l’Islam è per sua natura ultraterritoriale. Morale: dove vinceva l’uno negava il diritto all’esistenza dell’altro, o lo tollerava in quanto residuale, minoritario. Si scopriva la virtù della tolleranza solo nei confronti degli irrilevanti.

Il pensiero totalizzante non è un’esclusiva della religione, così anche l’idolatria statalista ha promosso l’ateismo imposto con la repressione. E ben più dei regimi totalitari di destra (in Italia l’ateo Mussolini dovette metaforicamente baciare la pantofola), il comunismo ha fatto assaggiare la ferocia della persecuzione anti religiosa. Dove la novità non stava nella persecuzione di una fede, ma nella persecuzione di tutte le fedi. All’esatto opposto, lo Stato non confessionale, quello laico, è il contenitore ideale della libertà religiosa.

Oggi Giovanni Paolo invoca la libertà religiosa, e fa bene. Ma così invocandola, specie davanti ad un pubblico (i diplomatici) comprendente donne e uomini di diversa fede, egli l’antepone al desiderio universalista della confessione che rappresenta e guida. Attenzione, perché questo è un passaggio fondamentale e, del resto, non nuovo nel pensiero di questo pontefice. Un passaggio che noi laici non possiamo che salutare con fiducia ed apprezzamento, giacché segna la consapevolezza, da parte di una guida spirituale, della totale storicità della fede, del suo vivere le vicende terrene comprendendo che fra queste vi è la diversità di storia, e, quindi, di religione. Per noi non è una novità, per la chiesa cattolica sì.

Certo, so bene qual è il corollario di questa posizione, ovvero il considerare in qualche modo comune la natura dei figli di Abramo, rivolgendo lo sguardo sospettoso verso quanti non riescono a farsi ragione della fede. Lo so, e lo capisco. Pretendere che anche questo venga meno sarebbe come pretendere di falciare le radici del pensiero religioso e, questa, non è neanche l’ultima delle nostre intenzioni. Noi, quella libertà che il pontefice chiede, già la conosciamo e già la pratichiamo.

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