I francesi lamentano l’inciviltà del trattamento riservato a Dominique Strass-Kahn. E hanno ragione. Gli statunitensi rispondono a brutto muso: chi se ne frega di quel che voi pensate del vostro damerino, tutti siamo uguali davanti alla legge. E hanno ragione. Tale contraddizione è un’occasione preziosa, per riflettere sul diritto e i diritti, in un Paese, il nostro, che s’è colpevolmente distratto cullando i torti e i soprusi, nella folle convinzione che portino alla giustizia.
Non mi occupo della questione specifica. Osservo che ora tutti dicono di aver sempre saputo che l’accusato ha un’accesa passione per il sesso. Sono affari suoi e di chi a lui s’accompagna (per passione o professione). Questo mondo di beghine insoddisfatte e trappisti bugiardi è da tempo insopportabile. Il discorso cambia, totalmente, se c’è violenza, dall’altro non gradita. In questo caso si chiama “reato” e, per quanto una pena che potenzialmente supera i 70 anni di reclusione ha del pazzesco, porta ad una condanna. Le condotte private possono avere rilievo pubblico, ma vale per chi chiede di essere scelto dai cittadini, che possono valutarne ogni aspetto. Possono, ad esempio, ben gradirlo crapulone, senza che alcun giudice abbia diritto di metterci becco. Se, invece, parliamo non di eletti, ma di nominati, assunti o promossi, vale la condotta al lavoro e la competenza, non le brache. Nel caso del signore in questione, ad esempio, un mondo moralmente rigido gli avrebbe già fatto pagare la relazione con una dipendente-consulente, sbattendolo fuori. Non per il sesso, ma perché qui ti pago per lavorare e far andare avanti i migliori, mica per ficcar le mani e dar spintarelle. Veniamo al diritto.
I francesi lamentano la figura dell’ancora innocente portata al martirio mediatico, esibita come un trofeo di caccia, indagata dalle telecamere nel volto disfatto dalla paura e dall’umiliazione. Il sindaco di New York, mica di Kabul, ha risposto: se uno vuole risparmiarsi tutto questo eviti di commettere reati. Una tesi che neanche alla santa inquisizione si sarebbero permessi di sostenere con tanta spavalderia. Però, attenti: l’accusato è stato portato subito davanti ad un giudice terzo, non collega del procuratore, il quale ha acconsentito ad un breve rinvio per l’acquisizione di alcune prove (il test del dna), dopo di che ha riconvocato le parti e già disposto il rinvio a giudizio. Subito dopo ha scarcerato l’imputato, dietro cauzione, inviandolo agli arresti domiciliari, sotto sorveglianza.
Il processo si farà a breve e sarà regolare, senza che la buriana del sistema dell’informazione vi abbia peso. Il caso di O. J. Simpson fece scuola: colpevole per tutti fu assolto, perché una delle prove decisive, il guanto, era stata acquisita in modo irregolare. Poi in galera c’è tornato, perché (In God We Trust) quello era il suo destino. Se Strass-Kahn sarà condannato nessuno potrà sottrarre il reo alla pena. Se sarà assolto gli sarà restituito l’onore e il prosecutor, il procuratore, dovrà cercarsi un altro lavoro. Il giardinaggio, perché come avvocato non lo vorrà nessuno. E’ un sistema brutale, non c’è dubbio, ma che ha ben presente qual è il valore da difendere: la sicurezza collettiva. Ne è nemico il cittadino che non rispetta le leggi, né è nemico il procuratore che non sa fare il suo mestiere. Chi sbaglia, paga.
Ciò non toglie, i francesi hanno ragione, che il danno subito dal cittadino, in caso d’innocenza, è incalcolabile. Nel caso specifico c’è anche il ragionevole sospetto che altri fattori abbiano influito, a cominciare dalla voglia di togliersi di torno un eterodosso (e assai preparato) direttore del Fondo Monetario. Un uomo politico e un economista che aveva visto per tempo le debolezze dell’euro. Gli americani replicano: se gli è stato fatto un torto rimedieremo, in fretta, ma voi, nell’Europa continentale, queste cose le fate regolarmente ai poveri disgraziati, semmai sono i potenti a sollecitarvi il garantismo. Ed è così, tanto che noi garantisti privi di distinzioni, tali per puro amore del diritto e dei diritti, parliamo al muro dell’insensibilità politica e culturale. Dovendo scegliere, quindi, preferisco il sistema americano.
In Italia abbiamo totalizzato il peggio: sputtaniamo il cittadino già da indagato, pubblichiamo le sue telefonate, fotografiamo e propagandiamo le sue debolezze, confondiamo il peccato con il reato e, poi, manco gli facciamo il processo, o lo rimandiamo a quando tutti se ne saranno dimenticati e di lui non sarà rimasta che polvere mediatica. Allora, vi propongo un esercizio: prendete Strass-Kahn e Riccardo Seppia (il parroco che, a quel che l’accusa sostiene, chiedeva droga e ragazzini da stuprare), arrestati contemporaneamente e ugualmente offerti al pubblico cannibalismo, sicché controllate chi verrà assolto o condannato in tempi ragionevoli e in un equo processo. Poi controllate chi sconterà la pena e in che consisterà. Esercizio mesto, ma istruttivo.