Idee e memoria

IgNobel

E’ capitato più di una volta che al momento dell’assegnazione dei premi Nobel ci si sia interrogati su scelte a dir poco singolari. Posto che agli sfondoni non c’è limite, un significativo salto di qualità è stato compiuto assegnando all’Unione europea l’alto riconoscimento, in particolare quello intitolato alla pace. Ma forse mi sbaglio, forse non è sventatezza e approssimazione nel compulsare i libri si storia, bensì ironia impietosa, o malizia.

Che l’Ue abbia garantito la pace, per sessanta anni, è cosa che può essere affermata solo a patto di considerare Europa quella che non si ricomprende nell’odierna Unione, ma si limitava alla vecchia Comunità. Se si prende in considerazione la formazione odierna occorre che qualcuno ricordi ai signori dell’accademia svedese quanto succedeva fino al crollo del muro di Berlino, appena venti anni fa: nazioni impegnate a farsi la guerra fra di loro. Non solo quella fredda, a base, fra le altre cose, di spie e terrorismo, ma anche quella a temperatura più elevata, puntandosi reciprocamente contro missili a testata nucleare. Non furono esplosi, ma è fantasioso attribuirne il merito all’Unione che non esisteva, disconoscendo l’invece determinante ruolo dell’equilibrio del terrore. E non basta, perché ancora in occasione della guerra in Libia, l’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono dichiarati guerra in territorio altrui.

Gli esimi accademici riconoscono che noi europei stiamo facendo fronte a una crisi grave e pericolosa, ammirando la condotta. Quale? Al momento ci sono Paesi che lucrano sul differenziale dei tassi d’interesse, talora finanziando gratis i propri debiti, nel mentre lasciano gli altri affondare sotto i colpi della speculazione. Per carità, c’è chi sconta colpe proprie, e noi fra questi. Ma c’è anche un sovrappiù di concorrenza illecita, che proprio non pare il riassunto della migliore pace possibile. E, del resto, è vero che è nata una moneta unica, ma è stata realizzata in due condizioni: a. riducendo l’area dell’Ue, che sovrasta quella dell’Uem (l’Unione monetaria); b. non creando istituzioni che possano reggere una moneta, e non creandole proprio per mancata volontà di devolvere poteri statali. Forse si potrebbe chiedere il Nobel alle buone intenzioni, sperando di non prendere quello per le frittate riuscite male.

In quanto a pace, l’Unione è riuscita a portarla altrove, in ossequio all’amore fra i popoli e all’affermazione della democrazia? Non mi pare proprio. Quando questo è successo il protagonista dell’operazione non è stata l’Ue, ma la Nato. E alcuni europei si sono chiamati fuori, quando non dichiarati contrari.

Non vorrei si creassero equivoci: chi scrive si professò e professa europeista, ritenendo necessario condurre fino in fondo il processo d’integrazione. Proprio per questo diffido dell’euroentusiasmo incosciente e sconsiderato. A meno che, ed è un cattivo pensiero, il premio Nobel non abbia un livello di lettura più malizioso: affermare non solo l’indipendenza (ovvia), ma anche la separatezza dell’Ue dall’Alleanza atlantica e dagli Usa. Nel qual caso vale il richiamo di Collodi: ti conosco, mascherina. Il terzopolismo eurocentrico altro non è che un residuato della propaganda sovietica (come si chiamavano quei tre signori al soldo dell’est, capaci di montare una gran cagnara contro i benedetti euromissili? Eurocomunisti), oppure un fossile del nazionalismo. In entrambe i casi si tratta di idee figlie di quel che portò alle guerre e le trascinò per decenni, distruggendo prima i popoli, poi la ricchezza, in ogni caso negando la libertà.

Siccome quel premio puzza da lontano di una tale impronta culturale, da europeo e da europeista lo rifiuto. E se proprio si deve ritirarlo, a farlo non mandiamo i vertici della burocrazia inutile, a sua volta incarnazione di quel che deve cambiare, o di un Parlamento che è tale solo di nome, o di un governo che nessuno ha eletto. Mandiamoci il capo del governo Israeliano, quale promessa di una vera politica estera europea.

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