Idee e memoria

Il divorzio e l’Italia laica

Trenta anni fa non fu introdotta, in Italia, la legge sul divorzio, ma si vinse il referendum contro chi voleva abrogarla. Gli unici, fra le forze politiche organizzate, a ricordare il trentennale, sono i radicali. Non è colpa loro, naturalmente, perché la colpa non è mai di chi fa, ma di chi non fa. Però quest’unicità commemorativa riproduce un equivoco, a sua volta capace di offuscare il valore pieno di quella legge e di quel referendum.

La legge sul divorzio porta la firma di due parlamentari, Antonio Baslini e Loris Fortuna, rispettivamente liberale e socialista. La legge fu approvata dal Parlamento, con una maggioranza diversa da quella che sosteneva il governo: la prima comprendeva i comunisti ed escludeva la democrazia cristiana, la seconda l’esatto contrario. Non fu facile, ottenere quel risultato, perché in qualche parte del mondo laico (liberali, repubblicani, socialdemocratici) si temeva lo scontro con i democristiani alleati di governo, ed in buona parte del mondo comunista prevaleva il moralismo bigotto e la volontà di non perdere il contatto con “le masse cattoliche”. Ma si vinse. Si vinse sia grazie alla spinta dei radicali di Marco Pannella, che alla moderata saggezza di quanti non ne fecero una battaglia estrema ed estremizzata, riflettendo in pieno i cambiati umori e sensibilità degli italiani. Gli uni senza gli altri non sarebbero andati da nessuna parte.
La stessa democrazia cristiana, pur non rinunciando alle proprie posizioni, ed alla difesa di quelle vaticane, mostrò di non volere intendere quella legge come un atto inammissibile e, seguendo in pieno il metodo democratico, si lasciò mettere in minoranza. In cuor loro, i democristiani, sapevano bene che si trattava di una legge giusta, fin troppo moderata. Fecero la battaglia di bandiera, ma senza crederci troppo.
Dopo l’approvazione della legge, spinti da quelle gerarchie ecclesiastiche che meno avevano inteso i cambiamenti del mondo, i comitati civici, capitanati da Gabrio Lombardi, raccolsero le firme e promossero un referendum abrogativo. Nel maggio di trenta anni fa, quindi, s’andò a votare contro la legge sul divorzio, non a favore. Tant’è che i favorevoli alla legge dovevano votare No (all’abrogazione) ed i contrari Sì.
La campagna referendaria per il No, più che giustamente, fece appello non solo alla laicità della società italiana, ma, soprattutto, al fatto che la legge sul divorzio non avrebbe rovinato le famiglie, non era l’anticamera di nessuna apocalittica rivoluzione dei costumi, non comportava affatto che si dovesse anche ammettere l’aborto ed il matrimonio fra omosessuali (che c’entravano?), era solo una legge civile, destinata a prendere atto che i matrimoni non sono necessariamente eterni.
Nel corso di quella campagna i radicali, invece, tesero a fare gli estremisti, ad alzare il tiro. Dicevano cose giuste? Sì, in gran parte sì. Dicevano cose sagge? Mica tanto. Non stava scritto da nessuna parte che il referendum si sarebbe vinto, e vincerlo era importantissimo per la laicità e la laicizzazione del Paese. Quindi non si doveva mettere a repentaglio quel risultato, ed estremizzare i toni ed i temi lo avrebbe messo in pericolo.
A ben vedere, con il senno di poi, Bernabei fece assai male a non dare a Marco Pannella tutto lo spazio che desiderava, perché contro la posizione dei radicali d’allora sarebbe stato più facile, per i democristiani di Amintore Fanfani, sperare di spuntarla.
Così andarono le cose, anche se, con il passare degli anni e con il sedimentarsi delle parole, a qualcuno potrà sembrare che il referendum lo provocò Pannella, anziché Lombardi, i laici, anziché i chierici. Così andarono le cose. Assai diversamente da come vanno oggi, che vanno peggio.
Oggi l’Italia è più laica d’allora, ma ha perso le forze capaci di tradurre la laicità in norma. Si prenda il capitolo della ricerca scientifica e della fecondazione assistita: la legge approvata dal Parlamento è, in certi passaggi, orribile. Non c’è stata una forte presenza politica di forze laiche, capaci di distinguere la ricerca sulle staminali e l’inseminazione extrauterina dalle sperimentazioni mengheliane ed il generalizzato diritto alla riproduzione. E non c’è stata una forza d’ispirazione cristiana capace di interpretare il mandato parlamentare in modo difforme dall’indicazione ecclesiastica (come eccellentemente fece il cattolico tedesco Kohl).
L’antipolitica ha fatto fare un passo indietro all’Italia, anche nel delicato terreno dei diritti civili e della laicità. Il fatto che, oggi, il referendum lo si debba convocare noi, e non i chierici, è un passo indietro, non un passo avanti. Oggi, dunque, nel ricordare i trenta anni da quello voluto dai nemici del divorzio, sarà bene rivolgere un pensiero anche a quelle forze, a quelle culture, a quelle famiglie laiche che consentirono quella vittoria.

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